(Cinque poesie dalla pandemia)
I Da due settimane camminiamo senza mai aprire la bocca lo sguardo puntato alla meta. Abbiamo il freddo nelle ossa il passo incerto nelle orecchie coperte ci risuona l’ultima notizia dei telegiornali. Cresce ogni mattina di un palmo la paura. Le chiese sono chiuse; sonnambuli i tram trasportano per strade deserte spettrali trasparenze ai capolinea.
II Non apriamo ancora le finestre. Le copriamo con tende di lino ora che abbiamo scavalcato l’inverno. Ci limiamo le unghie. Scambiamo il bianco dei tetti con l’azzurro assente del cielo. Leggiamo libri dimenticati. Scivoliamo da una stanza all'altra rifacendo l’elenco dei peccati. Sui marciapiedi passano veloci uomini con le borse per la spesa mascherati.
III Questo è il limbo del mondo. L’aria sospesa tra il suo fiato e il tuo tra il tuo respiro e quello del vicino tra due file di merci schierate (pane disinfettanti spazzolini per i denti) e le coppie di soldati armati agli imbocchi delle strade e sotto le bandiere incollate ai balconi delle case sulle vie ferme disoccupate arrese.
IV Cala tutto chiude tutto (mercati parchi luoghi di culto) aumentano contagiati arrabbiati morti e le file ai supermercati.
V Di lui aveva visto solo gli occhi vigili come le antenne sui tetti. Non aveva però visto l’amara piega della bocca l’ideogramma di carne di una delusione perenne.