Giuseppe Agozzino ’19

(Cinque poesie dalla pandemia)

I
Da due settimane camminiamo 
senza mai aprire la bocca 
lo sguardo puntato alla meta. 
Abbiamo il freddo nelle ossa 
il passo incerto
nelle orecchie coperte ci risuona
l’ultima notizia dei telegiornali.
Cresce ogni mattina di un palmo la paura.
Le chiese sono chiuse; sonnambuli
i tram trasportano
per strade deserte
spettrali trasparenze ai capolinea.
II
Non apriamo ancora le finestre.
Le copriamo con tende di lino
ora che abbiamo scavalcato l’inverno.
Ci limiamo le unghie.
Scambiamo il bianco dei tetti
con l’azzurro assente del cielo.
Leggiamo libri dimenticati.
Scivoliamo da una stanza all'altra
rifacendo l’elenco dei peccati.
Sui marciapiedi passano veloci
uomini con le borse per la spesa
mascherati.
III
Questo è il limbo del mondo.
L’aria sospesa
tra il suo fiato e il tuo
tra il tuo respiro
e quello del vicino
tra due file di merci schierate
(pane disinfettanti spazzolini
per i denti)
e le coppie di soldati armati
agli imbocchi delle strade
e sotto le bandiere incollate
ai balconi delle case
sulle vie ferme disoccupate
arrese.
IV
Cala tutto
chiude tutto
(mercati parchi
luoghi di culto)
aumentano
contagiati
arrabbiati
morti
e le file ai supermercati.
V
Di lui aveva visto solo gli occhi
vigili come le antenne sui tetti.
Non aveva però visto l’amara
piega della bocca
l’ideogramma di carne
di una delusione perenne.

Di Bac Bac