di Tano Siracusa
Nei primi anni ’90 tornando in Italia dalla foresta amazzonica brasiliana il dott. Aldo Lo Curto teneva lo sguardo abbassato se gli capitava di parlare con un anziano. In segno di rispetto. Aveva preso questa abitudine nei villaggi dove rimaneva dei mesi e dove per tutti era il ‘doctor Aldo’.
Una ventina di anni dopo in un villaggio Arawete un anziano, che su sua richiesta provava a produrre il fuoco sfregando un legnetto sull’erba secca (uno dei pochi ancora capace di farlo), veniva circondato da alcuni ragazzi del villaggio che lo osservavano incuriositi e divertiti. L’uomo sudava, faticava ad accendere il fuoco. Loro, i ragazzi, avevano gli accendini e la loro ilare curiosità non manifestava alcun segno di rispetto per il vecchio e la sua fatica. Avevano gli accendini e le torce elettriche il cui uso presto avrebbe compromesso la loro prodigiosa ‘visione notturna’ (giocavano a pallone praticamente al buio), parlavano un cantilenante portoghese, indossavano le magliette dei calciatori e guardavano la sera l’unico televisore del villaggio alimentato dal gruppo elettrogeno osservando ipnotizzati le immagini scintillanti di un altro mondo che cominciava ad Altamira, oltre la foresta. La loro identità culturale era già fortemente problematizzata. Poi hanno costruito la diga di Belo Monte e tutto è ulteriormente cambiato.
Ad Aldo Lo Curto abbiamo chiesto cosa è successo e cosa sta succedendo in quella parte del mondo che lui conosce molto bene e sulla quale l’informazione da noi è molto carente.
Dice il dottor Aldo a questo proposito: “La stampa trascura l’ Amazzonia dagli anni ’90, dopo che si svolse a Rio de Janeiro la conferenza mondiale sull’ambiente. Poi, silenzio per molti anni, tranne qualche iniziativa recente da parte del Papa Francesco che ha indetto un sinodo sull’Amazzonia…”
Da molti anni, ogni anno, ti rechi in Brasile per svolgere la tua attività di medico volontario. Quali sono sotto il profilo sanitario le problematiche più rilevanti riscontrate fra le popolazioni indigene della foresta amazzonica?
Mi reco nell’Amazzonia Brasiliana dal 1981 e mentre nei primi otto anni ho operato in un lebbrosario, Marituba, vicino a Belem, per un semestre ogni anno come chirurgo plastico a titolo volontario (l’ altro semestre lo trascorrevo invece in provincia di Como, come medico di famiglia),dal 1989 iniziai a svolgere un servizio medico volontario nelle aree indigene del fiume Xingu, vicino alla città di Altamira, nello stato del Parà.
Altamira ha la provincia più estesa del pianeta e se questo ha permesso un maggiore isolamento delle varie etnie, l’enorme distanza tra i villaggi e l’ospedale della città é sempre stato un ostacolo determinante nel trasporto per via fluviale delle emergenze mediche (appendiciti, traumi da caduta, morsi di serpenti velenosi, polmoniti, annegamenti, parti complicati, etc.). In media per raggiungere Altamira trascorre un giorno solare dall’alba al tramonto, poiché di notte il fiume non si può navigare perché troppo pericoloso. Le malattie più diffuse sono sempre state quelle respiratorie, poiché il clima é cambiato anche da quelle parti con escursioni di temperatura notevoli tra il giorno torrido e la notte fresca: questo shock termico ha causato innumerevoli malattie dell’apparato respiratorio, che magari iniziano con un semplice raffreddore e subito dopo diventano delle broncopolmoniti (gli indios non riescono a produrre anticorpi contro queste malattie che prima erano sconosciute). Altre malattie: tifo, enterocoliti, traumi da incidenti di caccia e pesca, ferite infette, annegamenti, ustioni…
Tuttavia negli ultimi 20 anni molti indios hanno imparato a recarsi in città per via fluviale con motoscafi potenti donati dal governo in cambio dell’ autorizzazione a costruire la diga del progetto Belo Monte, la terza diga più grande del mondo.
Il contatto con l’ uomo bianco ha causato nuove patologie: l’alimentazione industrializzata ha causato obesità e diabete, in molti casi ipertensione; poi le malattie veneree, l’alcolismo, l’uso di droghe.
Quando ti sei recato l’ultima volta in Brasile?
Nel dicembre 2019 e gennaio 2020, sono rientrato proprio quando in Italia cominciava la pandemia. Come e’ risaputo, l’Italia fu uno dei primi paesi ad essere colpito, subito dopo la Cina, ma dopo qualche mese la pandemia ha colpito e colpisce ancora in Brasile, non solo nelle aree industrializzate, ma anche in quelle Amazzoniche: a Manaus ci sono state migliaia di vittime a tal punto che e’ stato necessario seppellirle in fosse comuni; in queste ultime settimane almeno 4 leaders indios sono morti di Covid, mentre uno dei più carismatici, Raoni, della etnia Kayapo, candidato al premio Nobel del 2019, e’ attualmente ricoverato in Mato Grosso per lo stesso coronavirus.
Dieci anni fa gli Arawete vivevano in quattro, cinque villaggi lungo un affluente del fiume Xingu. Mi dicevi che la costruzione della diga di Belo Monte aveva poi, come previsto, modificato il loro habitat. Puoi descrivere cosa è successo?
Gli Arawete, Asurini, Kayapo, Arara, Parakana, Xikrim, tutte etnie della mia area operativa si sono divisi tra loro, costruendo vari villaggi per liti interne innescate dalle regalie enormi, in denaro, mensili , che il progetto Belo Monte offriva in cambio del danno ambientale. Questo causava invidie tra le varie famiglie della stessa etnia, per cui si dividevano, costruivano un nuovo villaggio e nominavano un altro capo, che iniziava a ricevere la sua regalia. Dopo un po’ questo fenomeno e’ cessato, perché Belo Monte non ha più offerto denaro. Tuttavia si è continuato a cedere alle richieste degli Indios come “rimborso” per il danno ambientale: su loro richiesta per ogni famiglia e’ stata costruita una casa in mattoni con tetto in lamiera che sono un forno di giorno e fredde di notte, distruggendo cosi l’ assetto urbanistico delle disposizioni delle capanne di ogni etnia, col risultato che dopo qualche mese gli indios hanno ricostruito le capanne di paglia accanto alle case di cemento.
La diga ha avuto un grande impatto ambientale sul tratto medio del fiume Xingu, creando, a monte, un lago artificiale e trasformando, a valle, il fiume in un torrente.
A monte, il livello del fiume si e’ alzato di vari metri, costringendo varie comunità a spostarsi e ricostruire il loro villaggio in aree più alte, mentre in prossimità della diga, la foresta e’ stata sommersa sotto il lago artificiale e degradandosi ha intossicato i pesci, mentre sono aumentate le zanzare a causa del ristagno dell’acqua, con una maggiore incidenza di malaria.
A valle, il fiume é diventato un torrente, per cui é diminuita la concentrazione della pesca e poiché il fondale roccioso é più basso, il percorso con canoa o motoscafo é molto più pericoloso.
Ti è mai capitato nei villaggi di ascoltare commenti sul governo di Bolsonaro e su quelli che lo hanno preceduto?
Respinta varie volte dai rappresentanti delle comunità indigene, alla fine la diga di Belo Monte è stata approvata e realizzata durante il governo di Lula. Con il cambio del presidente e l’elezione di Bolsonaro alcuni speravano in un miglioramento tangibile delle loro condizioni, ma allo stato attuale li ho sentiti spesso lamentarsi che nulla é cambiato. Manca la formazione di infermieri e personale medico indigeni: a tutt’oggi non c’è un solo medico indigeno in tutto il Brasile. Solo recentemente ad Altamira alcuni giovani si sono iscritti a dei corsi di formazione. Manca la formazione di insegnanti indigeni. Nè si è proceduto alla demarcazione e omologazione definitiva delle aree indigene.
Il dott. Lo Curto da qualche anno si reca anche ad Agrigento, la città dove è cresciuto, per svolgervi il suo volontariato medico. Lo ha fatto in Brasile, nel Benin, in India, nelle Isole Solomon, in Mongolia, in Madagascar e in decine di altri paesi poveri del mondo. Nel suo orizzonte ci sono solo uomini e donne, la loro sofferenza da alleviare: le frontiere, i confini, il loro attraversamento, sono nel suo lavoro un intralcio che appare insensato.
Nel video che segue immagini degli Arawete prima della costruzione della diga.