di Davide Natale
Dalla Valle ai ‘Tolli’ il passo è breve, brevissimo. Il tempo un po’ meno, duemila anni. In pochissimi chilometri si fronteggiano due paradigmi, due città, due differenti idee dell’abitare; una sorda, l’altra cieca. Quella dei Greci, che ascolta l’infinito, e quella degli agrigentini, che non vede l’infinito.
Bisogna decidere con chi stare, chi guardare, dove volgere lo sguardo. Verso il giallo tufo dei templi, fragile e friabile pietra che resiste ancora, identica pietra della città vecchia, o al robusto e forte cemento che pezzetto dopo pezzetto si sta sbriciolando? Il ponte Morandi, i palazzi condominiali del sacco edilizio, gli edifici moderni che moderni non sono stati mai, o Santa Croce, Terravecchia, Ravanusella e Vallicaldi? Cosa giù dalla torre? Quante e quali risorse ancora da dissipare? E per quanto tempo? Le nuove amministrazioni, che poi nuove non sono mai, vorranno misurarsi con queste necessità o vorranno ancora navigare a vista, paghe come sono sempre state del primo scoglio scambiato per isola?
Con la speranza che si apra una discussione capace di indicare la strada. Che gli Ordini Professionali, i docenti e gli studenti della Facoltà di Architettura, l’Ente Parco e chiunque ha a cuore questa città vogliano intervenire, contribuendo a delineare un futuro urbanistico di Agrigento profondamente diverso dal passato.
Che se ne parli liberamente, entrando nel merito di scelte che devono tenere conto del modello di città che i finanziamenti europei intendono sostenere, senza infingimenti di parte o resistenze di piccoli o grandi appartenenze.