di Tano Siracusa
Nella disgrazia Ragheb e la sua famiglia erano stati finora fortunati. Sbarcato dalla nave Rapsody dopo la quarantena con il solo certificato di negatività al covid, dopo due notti trascorse davanti la stazione di Agrigento, è stato soccorso con sua moglie e i due figli piccoli da quattro giovani agrigentine.
Grazie al loro aiuto sono stati ospitati in una casa e Ragheb fra pochi giorni sarà operato per un grave e urgente problema di circolazione sanguigna. Un avvocato, anche lui un volontario, ha richiesto la consegna del foglio di via, mai avvenuta, ed è riuscito a ottenere un permesso temporaneo di soggiorno per le sue condizioni di salute. Intanto Ragheb con la moglie Mariam e i due bambini escono a fare qualche passeggiata, imparano l’italiano, fanno progetti.
“Siamo andati via perchè restare laggiù era come morire. Siamo venuti per lavorare, per dare un futuro ai nostri figli” dice nell’intervista rilasciata a Bacbac.
Eppure Chiara e le sue amiche, Alessia, Fabiola e Iman da qualche giorno sono preoccupate, sanno che la fortuna dei loro nuovi amici tunisini potrebbe finire, che la sfortuna potrebbero averli incrociati già su quella nave.
La sfortuna di Ragheb e della sua famiglia si trovava infatti sulla stessa nave, la Rapsody, dove avevano trascorso la quarantena assieme ad altre 900 persone dopo il soggiorno a Lampedusa; non l’hanno riconosciuta perchè non la conoscevano, e si chiamava Brahim Aoussaoui. Su quella nave allora i loro sguardi potrebbero essersi incontrati, mentre si affiancavano i loro destini.
Poi quello di Brahim lo ha portato da Bari, dove è stato fatto sbarcare, a Nizza, fino a quel giorno di follia, di sangue e di orrore che di nuovo ha incrociato la vita di quei connazionali sbarcati dalla Rapsody prima di lui, a Porto Empedocle, venuti a cercare un futuro migliore in Sicilia.
Chiara teme adesso che il rimbalzo sull’opinione pubblica dell’atrocità commessa dal quel loro connazionale e la ’gestione politica’ del suo crimine possano compromettere il sogno italiano di Ragheb.
Intanto si aspetta nei prossimi giorni l’intervento chirurgico per una malattia insolita in un giovane, una vera disgrazia, ma che gli ha permesso finora di evitare il rimpatrio in Tunisia, fra tutte considerata la disgrazia peggiore: per il nostro paese di fame si può tornare a morire da dove si è venuti, ma non di malattie.
La fortuna e la sfortuna, le due sponde del Mediterraneo, sembrano giocare a dadi con la vita di Ragheb, di Miriam e di due bambini di Sfax, che imparano intanto a giocare con le nostre parole.