di Renato Viviani
foto di Lucia Zullo
Ho visitato i campi profughi Saharawi nell’aprile del 2017, ho vissuto alcuni giorni nel campo di Auserd, vicino alla città di Tindouf. Questa zona del deserto del Sahara, conosciuta anche come ”il giardino del diavolo”, è uno dei luoghi più inospitali della terra. La temperatura supera i 50 gradi d’estate e può scendere sottozero nelle notti d’inverno. L’acqua è reperibile anche a poca profondità, ma presenta un alto tasso di salinità.
I campi dei rifugiati, dove vivono circa 250.000 persone, sorgono in pieno deserto algerino, sono costituiti da tende e piccole costruzioni per le famiglie e da strutture pubbliche (ospedali, scuole) costruite in muratura. Il mantenimento delle loro tipiche tende come abitazione per le famiglie è ancora molto diffuso, ha il valore simbolico della non radicazione sul territorio e della speranza di un ritorno nella patria libera.
Solo pochi mesi prima del mio arrivo erano state allacciate le linee elettriche, per concessione dell’Algeria. Fino ad allora tutto dipendeva dall’uso dei generatori. L’elettricità ha comportato un miglioramento notevole della qualità della vita: ha reso possibile l’uso dei frigoriferi per una migliore conservazione del cibo (con il conseguente abbassamento di malattie come la dissenteria diffusa specialmente nei bambini) e l’uso dei ventilatori o condizionatori che ha portato sollievo soprattutto agli anziani.
Le caratteristiche climatiche ed ambientali non permettono di sviluppare attività produttive autonome sufficienti a tutta la popolazione. La totalità delle forniture alimentari, logistiche e sanitarie, provengono da organizzazioni di aiuto umanitario e internazionale, da singoli governi e da associazioni di volontariato.
Violente tempeste di sabbia aggravano ulteriormente le già pesanti condizioni di vita nei campi, rendendo impossibile lo svolgimento delle normali attività quotidiane.
I campi sono dotati di un ospedale dove vengono indirizzati i malati di una certa gravità. Le strutture sanitarie però soffrono di tutte quelle carenze tipiche di situazioni in cui mancano i macchinari, i medicinali e l’energia elettrica continua. I casi non risolvibili ai campi sono trasferiti in Algeria o all’estero presso paesi, comitati ed associazioni solidali.
In questa prigione con il deserto intorno vivono moltissimi bambini la cui quotidianità è quella dell’emergenza tipica di un campo profughi, se pure organizzato. La scolarizzazione è obbligatoria per tutti i bambini e le bambine, il tasso di alfabetizzazione è del 95%, il più alto di tutto il continente africano. Ogni campo ha scuole dell’infanzia e primarie, dal 2009 ha anche scuole secondarie. L’istruzione universitaria può proseguire in Algeria o in altri paesi grazie a borse di studio.
I saharawi attendono da oltre 40 anni il loro diritto di essere Nazione. Il loro reato? Essere un piccolo popolo la cui terra interessa grandi potenze.
Il popolo Saharawi è il legittimo abitante del Sahara Occidentale, territorio di circa 260.000 Km quadrati, che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Fu colonia spagnola fino al 1975. In quell’anno la dominazione coloniale ebbe termine, ma la Spagna lasciò di fatto via libera all’invasione militare di Marocco e Mauritania. Da allora la popolazione Saharawi vive divisa tra i campi di rifugiati in Algeria e le zone occupate del Sahara Occidentale. Queste ultime sono tuttora sotto il dominio del Marocco che ha costruito un muro lungo 2720 Km, una fortezza fata di calce, mattoni e 7 milioni di mine antiuomo e anticarro.
Per la decolonizzazione, sotto la pressione dell’ONU, sono stati firmati accordi tra Spagna, Marocco e Mauritania. Ma questi ultimi due paesi hanno disatteso gli accordi invadendo il Sahara Occidentale. E’ la famosa “marcia verde” che ha portato, nel novembre del 1975 nel Sahara Occidentale, circa 350.000 marocchini civili e 25.000 soldati. Gran parte della popolazione Saharawi è stata costretta a fuggire e a rifugiarsi in Algeria. Nel 1976, il Fronte Polisario (organizzazione militare e movimento politico), ha annunciato la nascita della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (SADR) instaurando un governo in esilio. Sono seguiti 16 anni di guerriglia per l’indipendenza. Nel 1991 con il cessate il fuoco, l’ONU ha istituito una missione per vigilare sulla tregua e avviare il referendum per mezzo del quale il popolo del Sahara Occidentale avrebbe potuto scegliere tra l’indipendenza e l’integrazione con il Marocco: la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO). Da allora il Marocco ha frapposto ogni ostacolo, il Polisario ha rivolto appelli al Consiglio di Sicurezza affinché il negoziato venisse accelerato, ma senza alcun risultato. La missione si è tradotta di fatto, nell’assenza di alcuna misura concreta per fare avanzare il processo di pace, come ha più volte denunciato il Fronte Polisario, come è stato denunciato il saccheggio delle risorse naturali del Sahara Occidentale, in particolare delle miniere di fosfati e delle risorse ittiche della costa atlantica.
L’accordo di pace negli anni è stato quindi più volte violato dal Marocco, fino a venerdì 13 novembre 2020 quando le Forze Armate Reali del Marocco hanno lanciato un’operazione militare per tentare di disperdere una pacifica protesta da parte della società civile Saharawi nel corridoio di El Guerguerat. Protestavano contro l’apertura di un varco lungo il limite che doveva permettere il passaggio di uomini e camion con merci dalla Mauritania verso il Marocco e viceversa.
Questo atto militare da parte del Marocco viola l’accordo del 1997 che definiva la fascia cuscinetto fino al confine con la Mauritania zona con divieto di attività militari da entrambe le parti.
Il Presidente della Repubblica Saharawi ha dichiarato ufficialmente la fine dell’impegno al cessate il fuoco.
Nella storia della resistenza del popolo Saharawi, le pagine più vicine ai nostri giorni raccontano le azioni di democrazia diretta intraprese dagli esiliati, dai nomadi delle zone liberate e dalla diaspora in luoghi cruciali come i valichi illegali di Guerguerat o Mheiriz.
Le parole che ho ascoltato nei campi mi ricordano che il presente del conflitto viene dalle antiche lotte contro l’espansionismo europeo e poi marocchino e che, tra ieri e oggi, nella battaglia di libertà vi sono sia coerenza che mutamento. I gesti e i pensieri delle nuove generazioni uniscono quanto accaduto prima con quanto accade ora. Una saggezza preziosa per cancellare definitivamente l’ultimo crimine coloniale in Africa.
“En te Sario, ahì està el rostro de la libertad, espejo de dignidad y en ti, el pueblo saharawi vencerà.”
Bahia Mahmud Awah, poeta saharawi
(In te Sario, là si trova il volto della llibertà, specchio della dignità e in te, il popolo saharawi vincerà)