di Tano Siracusa
Nella piccola Repubblica della Fotografia Siciliana tutti vanno in giro nudi da molti anni. E tutti, come si sa, fanno finta di niente. Ogni tanto accade che qualcuno incespichi, che cadendo si ammacchi un po’. Succede allora che l’intera repubblica si animi, abbia un sussulto, osservi e commenti ad alta voce l’accaduto, senza fare alcun cenno, tuttavia, alle nudità generali.
In questi giorni il piccolo mondo della fotografia siciliana è stato attraversato da uno di questi casuali sussulti, provocato da una scivolata di Letizia Battaglia. A proposito delle sue foto pubblicitarie, ragazzine+Lamborghini gialla+Palermo da cartolina, sono volate parole grosse, “censura e arte”, “buon gusto”, “tradimento”; è stato scomodato Pasolini e si è scomodato Michele Serra.
Naturalmente a dire che sono tutti nudi non si azzarda nessuno, neppure Ferdinando Scianna, che pure si è ragionevolmente rifiutato di commentare l’accaduto.
Nessuno dice così che Letizia Battaglia è stata negli anni ’80 e primi anni ’90 una brava fotografa di cronaca, che deve la sua notorietà agli scatti delle vittime massacrate dai mafiosi, immagini terribili che neutralizzavano qualunque intenzione estetica. Che parlare di arte a proposito dei suoi scatti è ovviamente improprio: se avessero detto in quegli anni a Letizia Battaglia che la sua attività professionale era ‘artistica’ si sarebbe di sicuro incazzata. A maggior ragione dovrebbe oggi a proposito di questo suo lavoro pubblicitario.
Ma in quegli anni nella piccola Repubblica della Fotografia Sicilana si andava in giro ancora vestiti. Le fotografie che Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Paolo Titolo, Shobba, Fabio Sgroi e altri pubblicavano su Grandevù, la Palermo che raccontavano, non avevano nulla a che fare con la pubblicità, con i suoi stereotipi linguistici, con la sua inevitabile oscenità, né tanto meno con l’arte. Erano solo delle oneste fotografie di reportage, a volte molto buone. E ben vestite.