di Nuccio Dispenza
Codici di accesso, certificati bancari e documenti relativi a prodotti finanziari del valore di cento miliardi di euro, tutto nella spazzatura, senza battere ciglio, alla vista di controlli che avrebbero potuto insidiare una montagna di soldi ben più alta. Teniamo a mente questo spezzone di una intercettazione; frasi che raccontano di quella volta all’aeroporto romano di Fiumicino. Torneremo presto all’uomo che con nonchalance getta un mare di soldi in un cestino.
La vicenda è legata ad una operazione antimafia senza precedenti e che per ( non) strani meccanismi che dominano l’informazione non ha avuto l’eco che avrebbe meritato. Per chi non l’avesse intercettata, diciamo che lo scenario, il “campo principale” di questo gioco criminale, di finanza criminale con alle spalle crimini anche di bassa lega, è la Calabria. Non solo Calabria, c’è la Sicilia, c’è Napoli, ci sono tutti quei territori ( Mediterraneo compreso ) nel tempo persi dallo Stato nella difficile partita contro mafia, camorra e contro la ndrangheta soprattutto. Si, perchè ogni giorno che passa è quest’ultima mafia a dimostrarsi la più pericolosa, una potenza globale. La Calabria, dunque, quella dove la salute non è un diritto ma un favore. Un pò come in Sicilia. Per capire come una organizzazione criminale possa avere raggiunto le dimensioni che emergono dalle indagini di cui abbiamo parlato in apertura, vale andare alla Calabria della salute, allo sbando, terreno di razzia. La vicenda grottesca, tragicomica, dei commissari alla sanità, della loro scelta, delle loro dimissioni, con l’incapacità di Roma di individuare presto e con decisione un nuovo commissario capace di riparare i guasti di decenni di connivente malgoverno, pare si sia ora conclusa. Alla fine di una estenuante e irresponsabile incertezza, è stato individuato un “prefetto di ferro”, è caso di dire, più poliziotto che prefetto. Si, perchè in un Sud al quale si è restituita la cima lasciando la barca alla deriva, amministrare la sanità è diventata soprattutto un’operazione di polizia. Tristissima realtà.
Riflettendo sull’irresponsabile ritardo con il quale si è arrivati – si spera – ad un vero commissariamento della sanità calabrese, e al “sistema salute” al Sud, mi è capitato di dire che questo ritardo ha fatto perdere alla democrazia, alla credibilità delle istituzioni, quanto ne avrebbe fatto perdere la mancata cattura di un boss del calibro di Matteo Messina Denaro sapendone il rifugio. E si apprezzi che ho usato il condizionale per aiutarmi nell’illustrare il paradosso. Perchè lo dico? Per legarmi alla notizia d’apertura nella quale ora entreremo, perché è importante capire quali vette possa raggiungere la criminalità organizzata quando lo Stato si indebolisce con le assenze e con le presenze compromesse. Gli spazi diventano praterie nelle quali le mafie possono galoppare senza trovare ostacoli. E la sanità in Calabria come in Sicilia, come al Nord nelle sue espressioni più ricche, si conferma la prateria più verde. I soldi sono tanti, e le briciole bastano per comprare e pascere diversi livelli della politica. Silenzi e compromissioni, e si può mangiare a più non posso, indisturbati o quasi, se non ci si mette di mezzo uno scrupoloso magistrato. Detto questo, non è un caso che sia stata la Calabria a fare da sfondo ad un arricchimento criminale apparso subito senza precedenti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
L’uomo del nostro racconto – quello che pensavamo di trovare ieri in prima pagina, ovunque – è un imprenditore di Palmi, Roberto Recordare. Allo stato, lui risulta indagato dalla Dda di Reggio Calabria perché ritenuto la mente economica-finanziaria di clan di ‘ndrangheta, camorra e mafia. Ora, occhio alle cifre. Questa”nazionale” mafiosa voleva riciclare 136 miliardi di euro di cui “36 miliardi già pronti, cash”, contanti. Centotrentasei miliardi di euro, come parlare dei bilanci degli Stati di mezza Europa. Recordare avrebbe gestito un fondo di 500 miliardi. Ripetiamo in lettere la cifra: cinquecento miliardi di euro. Per dare le dimensioni del tanto che ancora avrebbe potuto realizzare la “nazionale”, anzi “l’internazionale” mafiosa, serve ritornare all’intercettazione dell’inizio, quella che si riferisce al pericolo dei controlli a Fiumicino: “Più o meno erano cento miliardi, qualcosa del genere… Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura… Avevo il bond da 36 miliardi…”, dice Recordare parlando del “bustone di bond e procure”. Con quel viaggio, il “Commissario alle Finanze” delle mafie “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingente somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari Paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da ‘black list’ che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacché ‘nascosti’ su conti speciali”. E in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno tutti parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro. I soldi sarebbero finiti in carte di credito e di debito, intestate a soggetti arabi o dell’Est Europa ma in mano a Recordare e a suoi uomini. Sul computer dell’imprenditore, trovati gli estremi e la foto di una carta di credito, intestata a un lituano, con un saldo di 2 miliardi. Nell’immenso tourbillon di denaro, conti riconducibili a persone scomparse da tempo negli angoli più remoti di ogni Continente. Come in “Prova a prendermi”, il film con Leonardo Di Caprio, Recordare era uno, nessuno e centomila. Tracce dei soldi nei punti più impensabili del globo, compresi quelli che si stenta a trovare nel mappamondo. Del resto “pecunia non olet” sempre, il denaro ha una sorta di “immunità diplomatica”, un pò resta sempre sulle mani di chi lo fa girare, banche comprese. Nelle intercettazioni, anche una frase di minacce ai magistrati calabresi: “Questi non si spaventano di niente… se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente…”
“Questa”, perché il magistrato dell’intercettazione si chiama Giulia Pantano. Lei ha in mano l’inchiesta di cui l’uomo sta parlando, il riferimento è all’autobomba che uccise la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. Recordare ride: “Stavano ancora raccogliendo i cocci di quella, a Malta”. Ecco la geografia di mafia, Malta, la Libia di tutti e di nessuno, il suo petrolio, il Mediterraneo e i mille traffici nel mare una volta nostro, ora “Cosa loro”: Tanti canali per far denaro. Tutti buoni per realizzarci una montagna di soldi capace di farne altre. Un sistema montuoso ricco e sconfinato. Spazio zero per diritti e legalità.