di Renato Viviani
Carretera Panamericana 13, km 444, un cancello e un cartello : “Cooperativa Nuevo Horizonte”. Siamo in Guatemala, nella regione del Petén, qui inizia nel 1998 la storia di Nuevo Horizonte, dalla guerriglia alla lotta politica. La comunità, composta da circa 200 famiglie, è costituita interamente da ex combattenti del Frente Norte de las Fuerzas Armadas Rebeldes (FAR), che hanno combattuto per trentasei anni una guerra di resistenza. Erano contadini o figli di contadini che, per difendersi dai soprusi e dalla violenza dei latifondisti e delle varie dittature, sono scappati dai loro villaggi rifugiandosi nella selva e sulle montagne, dove hanno imparato a combattere. La guerra è durata tanto a lungo che nuove generazioni sono nate nella selva e che non hanno conosciuto altra normalità che la guerra. In Guatemala il conflitto causò 200.000 morti e 45.000 sparizioni forzate, violenze fisiche, sessuali e violazioni dei diritti umani. Dopo gli accordi di pace firmati nel 1996 tutti gli ex guerriglieri usciti dalla clandestinità dovettero decidere come e dove continuare a vivere, alcuni di loro fondarono Nuevo Horizonte.
Tra le fondatrici della cooperativa c’è Petrona. Le sue parole, dolci e misurate, riassumono con una forza devastante ciò che è toccato a migliaia di indigene “Abbiamo partorito e cresciuto i nostri figli nella selva, eravamo contadini come siamo oggi, vivevamo nelle nostre piccole e umili case fino a quando ci siamo trovati costretti a scappare. Ci hanno accusati di essere sovversivi ma non sapevano nemmeno cosa fosse il comunismo. Ci uccidevano peggio che animali perché eravamo poveri e non servivamo.”
La sera, con un bicchiere di birra, chiacchieriamo con Rony nella sua veranda. Parliamo della guerra. Il comandante Rony mi racconta che gli accordi di pace stabilirono che nessuna parte in conflitto avrebbe avuto diritto a risarcimenti. Parla dei dubbi e delle paure che gli accordi generarono e quelle domande pesanti a cui rispondere, il futuro, il reinserimento e quale la posizione nella società. La maggior parte di loro erano stati sempre solo guerriglieri e avevano scarsissime possibilità economiche. Mi dice che nel 1998, se pure indebitandosi, sono riusciti a comprare dal governo del Guatemala circa 900 ettari di terra dando avvio alla cooperativa. Poche semplici regole per gestirla: la terra è di chi la lavora, i prodotti dell’agricoltura devono servire prima a sfamare la popolazione e poi per il mercato esterno. L’educazione è obbligatoria per tutti come mezzo di riscatto sociale, il futuro è dei giovani e a Nuevo Horizonte il cibo, l’educazione e il rispetto dei bambini e delle donne è priorità assoluta. Con voce calma ma orgogliosa Rony racconta che nei primi anni tutti loro sono stati impegnati a lavorare a tempo pieno solo per la cooperativa poi, con il progredire dei programmi, hanno potuto lavorare anche per se stessi. Con tenacia e sacrificio gli ex guerriglieri hanno dato vita a diversi progetti primo fra tutti quello per la riforestazione che ha portato a piantare circa 50.000 alberi all’anno. Poi è stato il progetto agricolo per dare cibo alla comunità, il progetto educazione per eliminare l’analfabetismo dalla comunità, il progetto casa per dare un tetto a tutte le famiglie. Il racconto di come hanno costruito e assegnato le case è significativo : mi dice che ora tutti hanno una casa ma all’inizio, quando il territorio era poco più che un deserto, tutti partecipavano alla costruzione e ogni casa costruita veniva assegnata per sorteggio, sorridendo aggiunge che la sua famiglia è stata una delle ultime ad essere sorteggiata. Oggi si lavora per la cooperativa a chiamata : quando ci sono lavori per i quali è necessario aiuto, ognuno può essere chiamato a turno a partecipare.
Rony racconta di una sfida grande con grandissimi risultati, ma non mancano i problemi e la situazione attuale preoccupa. Le prime generazioni nate dopo gli accordi di pace, e ormai maggiorenni, faticano a comprendere le ragioni del vivere in comunità. La storia vissuta dagli anziani, a volte raccontata a fatica da chi è ancora pesantemente coinvolto, non riesce a dare motivazioni. La società “fuori” con i facili richiami di internet e di valori altri è attraente. Nella cooperativa ci sono problemi di alcolismo tra i giovani ma anche tra quegli anziani che non hanno superato i loro incubi. E’ in fase di definizione un programma di aiuto psicologico che purtroppo è mancato finora. E’ invece partito il progetto per curare il diabete e quello per educare ad uno stile di vita e di alimentazione migliore. Ci sono corsi e attività di formazione all’eguaglianza di genere. Funzionano un centro di salute, una farmacia e una ‘casa de parto’, quest’ultima struttura è aperta anche alle comunità native vicine. Le scuole elementari e medie sono gratuite e aperte anche a bambini dei villaggi vicini.
Raúl è entrato nella selva a 14 anni, si è dedicato alle comunicazioni radio della guerriglia e dal 1992 fino alla firma degli accordi di pace ha fatto parte dell’intelligence della guerriglia. Mi accompagna nella selva. Percorriamo un lungo sentiero in mezzo a un bosco tropicale rigoglioso, è talmente fitto che la luce penetra a fatica. Sottolinea con orgoglio il grande lavoro di riforestazione fatto per ridare forza alla selva che ha dato loro rifugio e sostentamento durante gli anni di guerriglia. Mi mostra un albero il cui frutto può fornire liquidi utili in caso di mancanza d’acqua, e un altro le cui enormi radici si avvolgono si avvolgono intorno al tronco formando cavità utilizzate come rifugi o nascondigli. Penso ad alta voce a come siano potuti nascere e sopravvivere in queste condizioni tanti bambini. Mi risponde, mentre passiamo vicino ai resti di un accampamento, che in realtà gli anni più duri sono stati quelli iniziali dopo i trattati di pace : la malnutrizione ha ucciso molti bambini e il lavoro estenuante per strappare la loro terra al deserto ha provocato numerosi aborti. In lontananza nel bosco, le scimmie urlatrici fanno da colonna sonora. Ricordano le ‘lloronas’, figure del folclore locale che rappresentano le donne a cui hanno ucciso i figli e vagano urlando nella vana ricerca di ritrovarli.
Incontro per la prima volta Morales nella sua casa. Higinio Carrillo Gutierrez, detto ” el indio Morales”, è nato nel 1947, ha servito l’organizzazione politica della guerriglia con il compito di mantenere i contatti con la popolazione civile per ottenere informazioni e cibo e reclutare persone alla guerriglia. E’ in compagnia dell’amico scrittore e poeta Carlos Angulo che sta scrivendo la sua biografia. Scambiamo poche parole e già mi sembra di conoscerli da sempre. Morales ha un fare semplice e umile ma si rivela un uomo di grande forza interiore e serenità.
Non è stato un comandante ma é stato uno dei combattenti più valorosi ed eroici dei terribili anni della guerriglia. Mi racconta dei momenti più difficili, della dittatura di Rìos Montt, del massacro delle Dos Erres, di quanto sia stato difficile essere un guerrigliero con una famiglia e dei figli, ma anche dell’importanza di aver sempre avuto al suo fianco la moglie Livia, compagna e combattente. Nella selva del Petèn ha perso fratelli, figli e amici. Mi trasmette grande emozione mentre racconta la nascita della cooperativa Nuevo Horizonte, ma le sue parole sono di rabbia quando parla del Guatemala di oggi povero e corrotto. E’ notizia di questi giorni di fine novembre 2020, delle grandi manifestazioni contro la corruzione e gli abusi del presidente Giammatei. Intanto Morales si commuove ancora al ricordo di quei tempi ma si rammarica, come Rony, perché spesso i giovani faticano a comprendere come la loro realtà è la conseguenza di quelle battaglie. Si gira verso la parete e mi indica un calendario appeso, è dell’anno prima. “L’ho trovato per strada, in un paesetto vicino, l’avevano gettato accanto ad un cassone dell’immondizia, ma è un calendario di Fidel Castro” mi dice e poi aggiunge di averlo raccolto e guardato con attenzione, era in ottimo stato e con le foto in carta lucida. ” Che dispiacere e che vergogna ho provato per le persone che lo hanno gettato senza rispetto per Fidel, un mito, un esempio, un amico”.
Dalle parole di Rony, Morales, Petrona, Raul e gli altri amici capisco che la comunità è consapevole che la cooperativa non potrà dar lavoro a tutte le generazioni future ma che deve diventare un nido da dove le persone possano uscire per andare a vivere fuori ma da dove possano anche tornare e lavorare per il futuro di Nuevo Horizonte.
“Solo el colectivo tiene el delirio, la pasion y la cordura para concebir un sueño.” (Solo il collettivo ha la follia, la passione e la saggezza per concepire un sogno.) Carlos Angulo