di Nuccio Dispenza
Girgenti Acque? Uno straordinario spaccato di Agrigento, lo specchio sociologico oltre che politico di questa città. Attraversarne la storia, visitarne il presente è quasi uno studio geologico per capire la natura delle cose “politiche” ed anche il nostro quotidiano.
Provarci a capire è una impresa, anche se metti assieme le voci che raccogli: quello che è esperto dal punto di vista tecnico, chi ha preso nota, da “storico” dei passaggi della storia infinita dell’acqua ad Agrigento, chi legge gli aspetti “politici” dove la politica spesso va intesa come “patologia della politica”. Una chiacchierata a più voci, che, parte da una nota di cronaca, la recente distribuzione a pioggia di salatissime bollette dell’acqua, risultato di conguagli retroattivi. Maxi bollette alla vigilia di Natale, conseguenti lunghe file di utenti già prima dell’alba, per chiedere, per contestare, per capire. Poi, è venuta la (non) decisione di una Commissione parlamentare dell’Assemblea Regionale che ha detto: bloccate quelle bollette, è bloccato ( rinviato?) il pagamento. Una decisione con scarsi fondamenti giuridici, una sorta di proclama orale che appare più che altro, un coup de theatre scritto, previsto, in un copione politico che prevedeva prima la batosta, poi la sortita “populista e natalizia” che strizza l’occhio ruffiano al consenso. Sullo sfondo di quello che appare un giochino politico, resta la realtà. Che ci sia o che non ci sia, l’acqua è la maledizione di Agrigento: o manca, come è accaduto in diversi decenni del secolo scorso, segnando la vita e la psiche di generazioni di agrigenti ( oltre che la politica e il consenso ), o c’è ed è la più cara d’Italia, probabilmente d’Europa. La chiacchierata è lunga, difficile sintetizzare il tanto del suo racconto, alla fine esaurirà le pagine del block notes. Provo a coglierne il senso, il succo, il messaggio, la “foto”. In chiusura, un’ipotesi per venirne a capo, rinviando il tant’altro dell’indagine a puntate a venire. Una sorta di prefazione, prima di tuffarsi nei cerchi dell’acqua. Senza tornare indietro di tanto, agli anni della grande sete, quel che viviamo “nasce quando si realizza uno specifico blocco di potere, una saldatura fra tre livelli di potere territoriale, con al vertice – col Comune e con la Provincia – la Regione di Totò Cuffaro”. Lì nasce la società privata destinata a governare il servizio tramite una utility, un’azienda che fornisce un servizio di pubblica utilità quale l’acqua. Da una parte la storia politica, dall’altra quella giudiziaria che nasce perché le storture della politica sfondano le porte di Girgenti Acque e si insediano nelle sue stanze. E quella giudiziaria, dicono le cronache, parlerà di “assumificio” e proporrà uomini diventati ricchi nella prima Repubblica e che nella seconda Repubblica con una mano sono nella gestione del servizio pubblico più difficile e controverso dell’Isola, con l’altra restano imprenditori del settore, fornitori. Cose siciliane, cose nostre.
L’acqua e la spazzatura sono le chiavi di lettura della cronaca dell’Isola, che è già storia. Storia lunga, travagliata e tortuosa. Ai lati di questo percorso, altri protagonisti nell’ombra, ma questa è un’altra storia. Qui andiamo al modello dell’utility. E’ il modello europeo applicato ai servizi, ed è il passaggio in Sicilia di un modello economico e aziendale europeo che cambia le cose.
A Palazzo d’Orleans c’è Cuffaro quando le acque vengono vendute ai francesi. Siamo al tempo delle privatizzazioni, a livello regionale irrompe Pirelli Immobiliare quando si cartolarizzano i beni della Regione, poi c’è l’acqua. Prendo nota: “L’acqua è uno di quei settori che, è vero, non offre grandi utili, ma utili costanti, che non hanno “guizzi” rischiosi, un pò come nel settore alimentare…”. Un investimento buono e sicuro. “Nello specifico siciliano, la utility di tipo europeo, nord europeo, fornisce sicurezza al sistema…”. Parlando per modelli, su diversa scala, il pensiero corre alla vicenda Autostrade. La concessione ( “Fu Antonio Di Pietro, ministro alle Infrastrutture a firmarla” ) aveva preso atto dell’assoluta incapacità gestionale di Anas. Situazione di cassa e posizione debitoria oltre ogni tollerabile, a stento onorati i costi fissi. Passivi con cifre astronomiche. “Sappiamo com’è andata con Autostrade, i Benetton..”, ricostruisce l’amico “storico”, che prosegue: “Ma io ti dico che quel che abbiamo vissuto, compreso il capitolo tragico di Genova, probabilmente lo avremmo vissuto tanto prima con Anas che certo non si trovava in condizioni di affrontare i costi, anche quelli della manutenzione, che la nostra rete autostradale richiedeva e avrebbe richiesto anche con i Benetton…”. Come dire, ci saremmo arrivati prima, anche venti anni prima… Dall’esempio di autostrade, ritorno all’acqua: “Pensare che soggetti pubblici siano in grado di sopperire a quel che vuol dire la gestione di un servizio come l’acqua è impensabile”, dice l’amico che ha un taglio “economico”. Gestione, rete, manutenzione, mission impossible. “Mai fatta una tracciatura della rete, mai una ristrutturazione. Un sogno la gestione computerizzata dei flussi – dice – se si pensa che ancor oggi dobbiamo affidarci alla sensibilità “fisica” del fontaniere per un equilibrio dei flussi…”. Come dire che il vecchio fontaniere sta ancora al servizio idrico come il contadino alle sue piante, l’allevatore alle sue vacche. Decisamente indietro rispetto al quadro che può offrire il modello gestionale di una utility europea. “Una rete funzionante, la regolazione telematica del servizio aumentano i flussi e abbattono i costi” Il problema, direbbe John Stecchino, è la declinazione siciliana dell’utility. Con in più l’eredità di una rete territoriale degradata quasi in maniera irreparabile: immetti 100, ne arriva 30, anche meno quando il riferimento sono i quartieri del centro storico. E l’acqua che non arriva non è che non si paghi. Il costo dell’acqua che si perde ricade comunque sugli utenti. Segno sul notes: “La parola chiave nel racconto dell’acqua è “perdite”, nella gestione come nella rete…”. Costi su costi, con oneri smisurati per gli interventi, ora a mettere una pezza, ora a sostituire, ora a “cucire gli strappi”. Uno stato delle cose che fa lievitare il debito in maniera incontrollabile. Anche perchè, persa o no, Girgenti l’acqua la paga comunque e sempre a Siciliacque. Ecco le bollette, le maxi bollette. Girgenti Acque è commissariata, e il commissariamento è una situazione ben distante da un approccio imprenditoriale, uno stato proiettato al futuro. Manutenzione col fiatone nella rete, manutentori nella gestione.
Se poi ci mettiamo che molti sindaci, si pensi a quelli della montagna con fonti di approvvigionamento, non hanno ceduto le loro reti…Ecco, se recuperi alla gestione solo le parti in perdita della rete…Eppure, la legge lo imporrebbe…Il sistema funziona se si supera la massa critica, se la rete si allarga… In questo quadro un commissario, guardandosi attorno, leggendo carte e numeri, non ha altre scelte se non deliberare…Se non si mette in bilancio l’aumento, all’angolo c’è il fallimento…Ecco gli aumenti, voilà le maxi bollette, voilà i conguagli. Che hanno una loro ragione.
Con la grande sete del passato tatuata addosso, gli agrigentini – mi dice l’amico che fa la parte dell’osservatore dei costumi degli agrigentini – nel fare i contratti tendono a formalizzare il servizio col consumo minore, poi in realtà hanno consumi da Nord Europa…
” Ragionano così: siamo in 3, allora 100 metri cubi ogni due mesi…E poi arriva il conto dell’effettivo consumo: 340 metri cubi… Sullo sfondo, come scenario “politico”, per capire il quadro di riferimento, c’è sempre, costante, il mare di acqua che si perde in mille rivoli… Abusiamo dell’acqua come gli americani della luce, tenendo tutto sempre acceso… Abbondiamo, come Totò con Peppino quando l’uno invitava l’altro a segnare il punto e virgola, anziché solo la virgola. Restando a Totò, come l’abbuffata di “Miseria e nobiltà”, alla fine di una fame atavica…” “Non vi dico quello che sento io che vivo a Roma – racconto – quando guardo correre l’acqua ininterrottamente dai nasoni, le storiche fontanelle romane…” “Ricorderai quel che rispose il Dalai Lama a chi gli chiedeva cosa fare per cambiare il mondo: “Chiudete i rubinetti!”. E’ vero, ricordo. Avvicinandoci alla fine di una chiacchierata che racconterebbe tant’altro, chiedo: “Che fare? Come ne usciamo?”. Il quadro complessivo della Regione – concordiamo – è di totale dissesto, enormi le difficoltà di Tesoreria, i segnali da Palazzo d’Orleans vanno in questo senso…
“Occorre una soluzione di forza…Di fatto, con questo commissariamento siamo in piena amministrazione controllata”, dicono in coro gli amici che ho convocato al capezzale dell’acqua. “Ma senza sbocchi…”, aggiungo io. Torno a chiedere, che fare?
“La strada è quella di un commissario nazionale, con l’intervento diretto del ministero del Lavoro… Entrare nel controllo della società in crisi, un pò come si è fatto nella soluzione della vicenda Paluani…Del resto, è innegabile la valenza sociale di un bene essenziale come l’acqua”, ricorda l’amico “visionario”, che chiude con saggezza:”Sarebbe il modo per onorare il più bistrattato dei referendum, il referendum tradito, il più irriso al mondo, quello sull’acqua pubblica”.