di Nuccio Dispenza
Nella piazza di Prima Porta, a Roma, le luci della sera di Natale sono quelle della vetrina del Gran Caffè Cipriani. Tutt’intorno è buio, poche le auto e gli immigrati col cartone di vino e con la bottiglia di birra stasera si ritagliano una presenza diversa, sono un pò più di ombre. Si parlano nella loro lingua, corretta dai sorsi. Comincia a fare freddo, del resto è la sera di Natale. Loro sono dell’Est, giorni come questo, quando erano a casa, erano ben più freddi.
Le luci del Gran Caffè Cipriani resteranno accese anche quando la signora gentilissima che lo gestisce, capelli alla Amy Winehouse, ma rossi, uscirà chiudendosi alle spalle il cancello in ferro. Il Caffè resterà muto ma vigile, è il solo angelo per tanti. Gli ronzano attorno comunque, anche se chiuso. E’ casa, famiglia, camino, affetti, albero di Natale, tutto quello che manca. All’ingresso, anche chiuso, un pannello continuerà a fare un’offerta popolare: primo, secondo, contorno e acqua a 10 euro, cucina romana. Adesso sono rimasti in pochi gli “scarti”. Tra poco anche loro lasceranno lo spiazza che sta davanti al Cipriani, lì dove una rampa che porta agli uffici territoriali del municipio viene utilizzata per appoggiarci cartone e bottiglia. Il vino e la birra passano di mano in mano, di bocca a bocca. Ci sono solidarietà, comunanze e complicità che non si possono permettere misure di prudenza. Insostenibile il vuoto assoluto. Le mascherine anticovid ci sono, si, ma sono sempre le stesse, quelle di quando tutto ebbe inizio. Unte, abbassate, per bere e per fumare.
Davanti al Cipriani c’è sempre lui, anche stasera: ha un’invalidità alle gambe, si porta avanti con un girello. Cerca sempre una compagnia, qualcuno con cui parlare. Poi si sposta, gira sempre, freneticamente. E’ sempre l’ultimo ad andare via, punta la salita che passa davanti alla chiesa, attraversa il ponte che sovrasta il corso d’acqua che si getterà nel Tevere. Qui nel gennaio del 2014 andò tutto sott’acqua. Periferia e scarti ai piedi della maestosa Villa di Livia.
Davanti al Gran Caffè Cipriani si attarda anche lui, l’omino dalle improbabili tutine da rock star. Poggia il suo zainetto rosso da lavoro all’ingresso del bar e parla, parla a lungo. Infinite telefonate nella sua lingua, nell’altra mano un bicchiere. Stasera la tutina è di uno sfavillante tigrato giallo oro su nero. Ieri dominava il rosso fuoco. La signora Amy chiude, saluta come sempre con garbo e per nome, uno ad uno, quelli che sono ancora qui. Sale sull’auto e va via. Non distante dal caffè, lasciandolo alle spalle e costeggiando la nuova stazione del trenino, lì dove la domenica mattina si fermano i furgoncini che caricano i pacchi per la Romania, lì accanto ai cassonetti si è formata una discarica. Discariche. Tra i rifiuti, pure un album di famiglia, smembrato. La pioggia ha appiccicato le foto al fango, ci metti il piede sopra, quando te ne accorgi lo togli con uno scatto. Ecco, è una famiglia, una delle tante che stanno qui attorno.Tante foto, un tratto di strada, fotogrammi felici. Si fotografano solo quelli. Le foto di una coppia giovane, il loro bambino mentre soffia sulle candeline del compleanno. Un’altra foto racconta di lui e e di lei. Con la veste delle occasioni.