Di Nino Cuffaro
Se vivi in una periferia del paese come Agrigento, se hai la fortuna di avere un lavoro garantito ed una posizione economica tranquilla, puoi anche accettare un livello scadente dei servizi della pubblica amministrazione, pur di non lasciare i luoghi in cui sei nato e continuare a godere dei tuoi affetti e della bellezza che la natura e gli uomini hanno depositato in questo splendido angolo di mondo.
Tuttavia, posso accettare malvolentieri di avere una città poco pulita, le strade piene di buche, di aspettare mesi per il rilascio di un documento d’identità o di una licenza, ma non voglio e non posso accettare di subire una sanità i cui livelli sono spesso da terzo mondo: ne va della mia vita.
Quest’ultimo problema, però, pensavo di averlo risolto, almeno personalmente, dotandomi di una polizza assicurativa in grado di garantirmi, in caso di bisogno, di potermi rivolgere alle strutture ospedaliere più qualificate, anche al nord Italia e all’estero.
Ma a volte si fanno i conti senza l’oste, cioè la pandemia di covid-19, che non consentendoti di viaggiare liberamente, ti obbliga a servirti delle strutture sanitarie locali.
Detto ciò, vado alla mia esperienza personale.
Da settimane soffro di dolori all’addome e, dopo alcuni tentativi di cure inefficaci, il mio medico curante mi consiglia di sottopormi ad una gastroscopia.
Trattandosi di un esame invasivo (un tubo di 50/60 cm dotato di telecamera entra nell’esofago e in parte dell’intestino per ispezionarli) che richiede una leggera anestesia, il mio medico sconsiglia di eseguirlo in un ambulatorio privato, ma di rivolgersi all’ospedale, al reparto di endoscopia chirurgica.
A questo punto, carico di tutti i miei pregiudizi non ingiustificati verso la sanità siciliana, immagino le liste di attesa infinite e la disorganizzazione degli uffici con le inevitabili file al centro prenotazioni, allo sportello per il pagamento del ticket, nella sala di attesa del reparto, etc. Ma, non avendo alternative, mi accingo con pazienza a percorrere questa minuscola, ma per me psicologicamente molto gravosa, via crucis.
D’ora in poi, cominciano le sorprese, fortunatamente positive.
Innanzitutto, non è necessario recarsi in ospedale per la prenotazione, basta telefonare al call center dove mi risponde (dopo circa 10 minuti di attesa) una gentile signora che mi dà istruzioni dettagliate sull’esame, mi fissa la visita e, con mia gratitudine, mi richiama dopo mezzora per ulteriori informazioni sulla sede e le modalità per l’esecuzione preliminare del tampone covid, obbligatorio di questi tempi per essere accettato come paziente in ospedale.
Il giorno del tampone ho appuntamento alle 10:00, mi reco al drive-in nel parcheggio dell’ospedale con un libro in macchina, convinto di dover subire una fila di ore. Invece, appena arrivato trovo solo un’auto davanti a me e in pochi minuti è il mio turno. L’infermiera addetta al prelievo ha già il mio nominativo, mi spiega gentilmente come si fa il tampone e dove troverò l’esito. In meno di 10 minuti dall’ arrivo, con mio sollievo, avevo già completato tutto.
Il secondo passo è il pagamento del ticket. Le mie reminiscenze fanno affiorare ricordi di attese snervanti con in mano il numerino del turno. Non è più cosi: posso pagare comodamente senza alcuna attesa in una qualsiasi farmacia.
Il giorno della gastroscopia puntualissimo varco l’ingresso dell’ospedale, anche in questo caso, memore di passate esperienze, già predisposto mentalmente ad un’attesa di ore. Ma anche questa preoccupazione si rivela infondata. Al reparto di endoscopia mi riceve la caposala e mi fa accomodare immediatamente per l’identificazione e la consueta intervista: ha subito interventi chirurgici? soffre di allergie? prende farmaci? etc..
Fatta l’anamnesi, passo nella stanza del medico che si occuperà del mio esame, per un breve colloquio sui sintomi del mio malessere, quindi mi accomodo sul lettino assistito dall’infermiera che mi praticherà una blanda anestesia. Deve iniettarmi l’anestetico per endovena, cosa non semplice per le mie vene difficili da trovare (ogni volta che faccio l’esame del sangue è un problema per me e la malcapitata infermiera che deve farmi il prelievo), ma lei è molto brava e ci riesce al primo tentativo. Poi, mi piazza una sorta di ciambella col buco tra i denti (da cui passerà la sonda gastrica) e mi invita a sistemarmi di fianco, come per dormire. E in realtà mi assopisco per pochi minuti, il tempo necessario all’esame. Al risveglio dal mio breve sonno, era tutto finito, senza alcun fastidio da parte mia: non mi sono accorto proprio di nulla.
In meno di 40 minuti dal mio ingresso in ospedale, arriva il referto: dirà che soffro di reflusso gastroesofageo. Dovrò fare una cura appropriata e stare più attento alla mia dieta.
In questa mia breve vicenda sanitaria ho ricevuto le cure e le attenzioni di 6 professionisti, tra medici e infermieri, al modico prezzo del ticket di 38,20 euro. Sia benedetta la sanità pubblica, mi vien da dire.
Sono soddisfatto del trattamento e delle cure che ho ricevuto dal servizio sanitario nazionale. Ho incontrato persone gentili, disponibili, competenti, che svolgono il loro lavoro con dedizione e professionalità. I miei pregiudizi, almeno in questa occasione, sono stati smentiti dalla realtà. Segno che anche ad Agrigento è possibile avere una sanità di qualità. Abbiamo strutture, attrezzature, spazi e personale adeguato che potrebbe dare un servizio ai più alti livelli, se solo venisse messo in condizione di fare al meglio il proprio lavoro senza ingerenze dei vari padrini politici, che hanno usato ed usano la sanità come centro di potere e serbatoio di voti, di clientele e di arricchimenti illeciti.
Penso poi con rabbia a quanti evadono le tasse. Se tutti abbiamo la possibilità di curarci a costi irrisori e anche gratuitamente, in caso di mancanza di reddito, è grazie a quelli che contribuiscono al bilancio pubblico pagando i loro tributi. L’evasione fiscale non può più essere tollerata, perché toglie risorse ai servizi essenziali e degrada il livello di civiltà della nostra comunità. Mi sovviene una polemica di qualche anno addietro, quando l’allora ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa ebbe a dire “Le tasse sono belle”. Venne deriso ed insultato da chi non capiva che pagare le tasse significa garantire a tutti, ma soprattutto a chi non ha le risorse economiche, l’accesso alle cure, all’istruzione, all’assistenza e a tutti i servizi garantiti dalla pubblica amministrazione in un paese civile, dove nessuno dev’essere lasciato solo nel momento del bisogno.