di Nuccio Dispenza
Il fiume non è lontano, e lo dice l’umidità che ha casa in questo parco. Pure uno dei centri di Sant’Egidio non è distante. Anche in questo centro di Roma, come in quello di Trastevere, c’è tanto da fare per i volontari. Al tempo che appare lontanissimo degli incontri e delle feste, qui, a due passi la spianata dove si faceva la festa dell’Unità, poi la festa di chi, dopo il Pci, aveva fatto sue le tradizioni che erano state del Pci. Famiglie, ragazzi, anziani nella pista del liscio, un gruppo musicale per i giovani, le salsicce e il vino.
Roma nord, quartiere Labaro, un quartiere”rosso”, che interpreta questa sua tradizione politica in buon governo: funzionano i servizi, l’anagrafe, il riferimento sanitario, il consultorio, il verde pubblico. Il parco, bellissimo, andamento di prati e alberi, rinvia a realtà europee, sorprende.
Parco Marta Russo, dedicato alla studentessa uccisa il 9 maggio del 1977 all’interno della Sapienza. Un caso complesso, per il luogo, per la difficoltà delle indagini, per le motivazioni che erano alla base di quella morte. Scattone e Ferraro, due assistenti universitari che sempre si dissero innocenti. Il primo a sparare, il secondo a coprirlo.
Il caso Marta Russo, uno dei misteri della cronaca nera di Roma. Il parco porta il nome di quella ragazza, e nel parco piccoli alberi, ciascuno porta il nome di un giusto del quartiere. La panchina è di quella di tanti altri parchi, da picnìc: due sedili che si guardano, divise dalla tavola. Ai piedi, un mazzetto di fiori di plastica ricorda lui, un uomo dell’Est che qui morì di freddo. Forse Andrzej , uno dei tanti che galleggiano attorno a questo quartiere, e che qualche volta annegano.
La panchina di Andrzej è rimasta la panchina di tanti altri, si vedono qui, dividono i cartoni di vino, parlano di loro, forse di noi. Parlano nella striscia di terra con le auto che sfrecciano da un lato e nell’altro, scendono e salgono verso il parco. A Roma sono state notti molto fredde, come quella che si portò via Andrzej. Ogni inverno torna la conta dei morti di freddo. Quest’anno – e siamo solo nel mezzo di gennaio – il conto dei morti è alto.
Ora, chi è poverissimo è poverissimo due volte per la crisi e per le conseguenze della pandemia. L’esercito dei senza tetto cresce ogni giorno. Lo dicono le volte che qualcuno bussa alla porta di Sant’Egidio e degli altri centri di assistenza, alle mense. Prima bastava mettersi in fila, ora le file sono lunghissime, nervose, s’alza qualche urlo, piccoli dolorosi scontri verbali. Per questo si disciplinano con i numerini, niente file, i volontari chiameranno uno alla volta.
Ma è la notte a premere il pulsante che decide corse perse in partenza. L’ultimo a morire quest’anno lo raccontano come un uomo riservato, sempre in silenzio. Lo avvicinava solo chi lo rifocillava, in strada. E in silenzio Edwin se n’è andato, quarto clochard morto in questo inizio di anno, il decimo”scarto”morto da novembre. Edwin ha finito di vivere sotto il porticato di piazza San Pietro, dove trovano riparo tanti senza tetto.
“Da tempo era lì – han raccontato i volontari di Sant’Egidio – era diffidente, ma non con noi, con noi parlava”. Lui aveva 46 anni, era nigeriano. Prima di lui è toccato a Marian Barzyczak, 61 anni. Per riscaldarsi, per scaldare la moglie, aveva acceso un fuoco. Falò incontrollato, fiamme che si alzano e che li avvolgono. Lui muore dopo qualche giorno di ospedale.
Il 9 gennaio ad Ostia è la volta di Mario, 58 anni. Lui è morto tra quelli che si muovono attorno alla stazione Termini, davanti le porte di un albergo chiuso per Covid. Sant’Egidio proprio qualche giorno fa aveva lanciato un appello, fatta una denuncia: si aprano immediatamente gli edifici pubblici, gli alberghi chiusi per Covid. I mille e passa posti di accoglienza attivi in città non bastano, per le strade e sotto i portici ogni notte è lotta per la sopravvivenza.
Scarti, quelli tante volte richiamati da Papa Francesco che rivolgendosi a loro ebbe a dire: “Vi chiedo perdono per tutte quelle volte che noi cristiani ci siamo girati dall’altra parte”. I clochard. Ne”La leggenda del santo bevitore”, il libro testamento di Joseph Roth che Ermanno Olmi trasformò in un film emozionante, protagonista il clochard Andreas, si dice: “Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella”. Parole che pensiamo nella bocca di Andrzej, di Edwin, di Marian, di Mario e di tutti gli altri che sono stati e che se ne andranno.