di Tano Siracusa
Prima o poi bisognerà riconsiderare l’identità urbanistica di Agrigento, la disseminazione di periferie vecchie e nuove formatesi nella sua storia recente e progettarne una riconfigurazione.
Alcune di queste aree urbane, come il centro storico, devono il loro declassamento al gigantismo della modernizzazione arrembante e verticale avvenuta prima e dopo la frana, che ha sostituito le mura chiaramontane con un montagna di cemento armato, mostruoso diaframma visivo fra la città medievale e quella grecoromana. Altri agglomerati, come Villaggio Mosè e Fontanelle, hanno dilatato l’area abitata della città nelle dismisure di un gigantismo orizzontale, in assenza di veri disegni urbanistici e di un adeguato sistema di trasporto pubblico. Altre ancora, come Villa Seta, appaiono sfigurate da processi non governati di marginalizzazione sociale e culturale.
Ma l’attuale mappa di ciò che è centro e di ciò che è periferia appare tanto irrazionale quanto fluida, irrisolta, priva di futuro. Basti pensare al centro storico, agli edifici abbandonati o crollati che fanno da contesto ai B&B e alla capillare diffusione turistica. Oppure a Villa Seta, così lontana dal centro e così centrale, separata anche da se stessa, dal suo passato e dal suo futuro possibile, da un possibile recupero e rilancio.
Villa seta è considerata lo Zen di Agrigento, contesto di marginalità e degrado. Eppure costituisce un insediamento urbanistico di grande qualità. Non solo per la sua magnifica esposizione collinare, per la sua distanza dal mare, da Agrigento e Porto Empedocle, per la prossimità alla valle archeologica, ma soprattutto per il suo impianto viario, per l’organizzazione degli spazi, per la razionalità del suo segno urbanistico. Che ormai si può in buona misura solo immaginare, sostituire a ciò che si vede: per chi visita oggi Villa Seta la sensazione è che amministrati e amministratori, abitanti e Comune, privato e pubblico, abbiano congiurato a dissestarne l’assetto originario, il ‘privato’ dilatandosi, erodendo spazi comuni, il ‘pubblico’ rattrappendo la sua presenza, materiale e simbolica, fino a quasi scomparire.
Bisognerebbe sovrapporre l’attuale mappa di Villa Seta a quella originaria per riuscire a immaginare anche la mappa di ciò che potrebbe essere.
A Villa Seta esiste una trama di percorsi pedonali con scale, sottopassaggi e ponti che rende raggiungibile in pochi minuti a piedi dalla periferia dell’insediamento urbano il centro commerciale, la scuola, la chiesa e, oltre la statale, la zona degli impianti sportivi.
Percorsi pedonali separati dagli ampi e comodi spazi riservati al transito e al parcheggio delle auto.
Oggi rimangono le tracce di quei percorsi, invasi dai rifiuti, trasformati da spazi pedonali a strade transitabili, a volte privatizzati, rovinati dall’incuria, dal disuso, invasi dalla vegetazione.
Quel modello di impianto urbanistico anticipa gli orientamenti di chi oggi vuole riconvertire i centri abitati sul principio ecologico del chilometro zero, dei servizi raggiungibili a piedi dai tutti cittadini, dichiarata ambizione del sindaco Sala a Milano, ad esempio.
Il collasso dei centri urbani, il ripensamento delle forme dell’abitare sollecitato dalla pandemia e dalle prospettive del ‘dopo’, sta orientando urbanisti e settori della politica verso modelli di urbanizzazione a basso consumo energetico, con la massima riduzione del traffico veicolare, verso la ricerca di nuove forme dell’abitare, ecologicamente compatibili e socialmente non alienanti.
A differenza di altri progetti urbanistici della sua generazione, Villa Seta sembra disegnata con una particolare attenzione alla dimensione sociale dell’abitare, agli spazi dell’incontro, della comunicazione, dello scambio. Il vecchio centro commerciale costituiva l’anima, il cuore vivo della socialità: oltre ai negozi avevano aperto diversi uffici comunali, la farmacia, i Vigili Urbani, la biblioteca, una banca, i bar. Fino agli inizi degli anni ’90.
Oggi completamente abbandonato e in rovina, ospita gruppi sparuti di persone che contemplano la spazzatura sparsa ovunque e qualche malinconico “si vende” appeso ai balconi. Spazzatura che non può essere raccolta negli appositi contenitori semplicemente perchè non ci sono, perchè la loro installazione costituisce un miraggio, meno di una promessa, oggetto di vaghe, sfiduciate attese di un intervento del Comune.
Padre Mario Sorce ricorda che meno di venti anni fa con un gruppo di volontari era stato definito un ambizioso piano di recupero del centro commerciale, su un progetto dell’ingegnere Li Causi.
Il superamento della crisi profonda di Villa Seta potrebbe ripartire dalla progressiva restituzione agli abitanti del vecchio centro commerciale abbandonato e del tessuto viario che lo connetteva all’intero contesto abitativo.
Lo Zen di Agrigento potrebbe diventare una zona di pregio: si presterebbe ad ospitare un campus universitario, innesti di funzioni e servizi destinati al tempo libero, all’attività sportiva e all’offerta culturale, potrebbe proporsi come luogo di attraversamento dei flussi turistici, soprattutto se si attivasse un moderno sistema di trasporto pubblico che riutilizzasse anche la linea ferrata.
Qualche segnale in questa direzione esiste: il progetto di un rilancio della biblioteca aperta al territorio e ai giovani, e soprattutto il piano di recupero del centro commerciale, pare già finanziato da anni e di cui da anni si parla, ma mai pubblicamente.
Nel video, dalla sua parrocchia al Quadrivio Spinasanta, Padre Sorce ricorda con nostalgia il suo servizio a Villa Seta e chiede a tutti, amministrati e amministratori, un nuovo slancio per riprendere a tessere la trama del vivere in comune.
E’ nelle periferie e dalle periferie che si può avviare una complessiva rigenerazione urbana. Villa Seta potrebbe diventare un laboratorio.