di Vito Bianco

Nulla è piu ostinato e vitale del mito. E in nessun altro ambito, tranne il cinema della Hollywood classica, se ne sono fabbricati tanti quanti nello sport. Imprese ed eroi lì sono di casa, e da tempo ormai hanno sostituito quelli della guerra e dei poemi che li cantavano. Francesco Terracina, indossati i panni sobri del mitografo, si mette sulle tracce di una di queste epopee moderne e la fa rivivere sulle pagine di un libro (Targa Florio. Le Madonie e la gara più bella, Laterza ), agile, terso e veloce come i leggendari piloti dai nomi ancora oggi risonanti – Fangio Ascari Nuvolari, al volante di bolidi che per oltre sessant’anni hanno animato il circuito della “gara più bella”, la Targa Florio, inventata nel 1906, agli albori dell’era dell’automobile da Vincenzo Florio, il più inquieto e visionario della celebre famiglia di imprenditori d’origine calabrese trapiantata a Palermo nella seconda metà del diciannovesimo secolo, nonché cognato di Franca, regina d’eleganza al tempo dorato della belle époque.


Un reportage memoriale, quello di Terracina, ma anche un originale e ispirato Baedeker culturale e politico, un viaggio di scoperta, o riscoperta di una Sicilia laterale, nascosta, lontana dal mare, gentile senza esibizioni, franca e austera, con un patrimonio naturalistico di grande pregio al quale il nostro curioso viaggiatore con il taccuino in mano dedica pagine di ammirevole precisione tecnica e letterariamente emozionanti.


Un posto davvero speciale è la conca della Quecella, il rifugio preferito del botanico di Orebro Nils Hakelier, che “amava osservarla anche da lontano, da Polizzi Generosa”.


La Quecella, scrive  Terracina, è uno dei posti “a più alto tasso di biodiversità in Europa, dove botanici di tutto il mondo cercano di capire cosa accade di anno in anno. (…) Le orchidee scatenano la loro fantasia, davanti alla rara Sassifriga meridionale che  le guarda con aristocratica noncuranza, nonostante proprio da quelle parti sia sovrastata da un faggio alto quanto un palazzo di cinque piani e una chioma ampia cinquecento metri quadri. Sta lì da quattrocento anni, ad osservare le mutazioni del paesaggio”.


E ancora, poco più avanti: “Strani esseri, questi agrifogli, che ovunque amano vivere con altri occupanti del bosco. Non a Piano Pomo, dove la comunità non apprezza gli intrusi e si esibisce in ardite figure, fino a formare una volta vegetale che si flette appena sotto il peso della neva per ritrovare un nuovo vigore in primavera. Va avanti così da trecento anni”.


Quanto alla componente politica, se può sorprendere in un libro che in buona sostanza è un personale supplemento della grande storia delle gare automobilistiche, non sorprenderà i lettori che già conoscono l’inclinazione dissonante, indagatrice e financo satirica dell’autore, giornalista per mestiere e scrittore per vocazione.


E quindi ecco le pagine sulla protratta agonia della Fiat di Termini Imerese e le “ambizioni sbagliate” di un dissennato e fallimentare programma di industrializzazione,  e le riflessioni amare, al limite di una disperazione nichilistica e “lampedusana” sul carattere inguaribilmente anarchico e autodistruttivo dei siciliani: “Di generazione in generazione, la stirpe di quei pastori conobbe gabelloti, proprietari terrieri, borghesi secondo una linea impietosamente annunciata dal disilluso Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo” scrive Terracina nel capitolo intitolato “Uno spettacolo d’arte varia”.


Che poi così affonda il colpo: “Un certo disprezzo, se non una certa vendetta nei confronti della bellezza, è una prassi tuttora in atto. Ma ridurla alla scarsa sensibilità degli isolani significa non voler vedere la strenua ‘lotta di classe’ combattuta contro tutto ciò che è costituito”. Una diagnosi cruda ma nella sostanza lucidamente esatta.
Ma il tempo musicale del racconto è il “moderato cantabile” dei motori e delle voci di chi c’era e ricordando narra, l’odore quello acre e inebriante della benzina e dei tubi di scappamento, che stanno al vecchio appassionato sotto il sole in attesa come la madeleine sta al protagonista della Recherche proustiana.


Targa Florio abbonda di aneddoti, racconti, veri, verosimili o talmente incredibili da sembrare inventati. E in fondo, che importa?


Importano la grazia, la misura, il gesto elegante con cui le cose sono toccate e riportate di nuovo sotto gli occhi di chi non c’era e ora, mentre legge, le vede oltre l’inchiostro delle righe e, anche solo per un momento, può illudersi di essere stato, almeno una volta, ai bordi di quelle strade.

Di Bac Bac