Il comune di Agrigento presenterà il prossimo anno la candidatura della città a capitale italiana della cultura 2025. Per la seconda volta la città concorrerà per questo ambito titolo, dopo l’esperienza del 2020 che vide Agrigento arrivare tra le dieci finaliste, con la vittoria assegnata alla città di Parma. Il concorso assegna un premio di un milione di euro alla città vincitrice, ma soprattutto garantisce una grande visibilità culturale e turistica. Il progetto, che verrà presentato il prossimo anno, secondo quanto annuncia il sindaco, verrà elaborato in collaborazione con il polo universitario di Agrigento.
La notizia, di per sé positiva perché pone la città all’attenzione del mondo della cultura italiano e non solo, necessità qualche approfondimento per capire quale prospettiva culturale e quale progettualità mettere in campo.
Il punto di partenza non può che essere il bando ministeriale che definisce l’ambito e il significato dell’iniziativa “Capitale italiana della cultura” che si propone: il miglioramento dell’offerta culturale, la crescita dell’inclusione sociale e il superamento del cultural divide; il rafforzamento della coesione sociale, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica; il rafforzamento degli attrattori culturali per lo sviluppo di flussi turistici, anche in termini di destagionalizzazione delle presenze; l’utilizzo delle nuove tecnologie, anche al fine del miglioramento dell’accessibilità; la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità nei settori culturali e ricreativi; il perseguimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU.
Se l’obiettivo è così ampio e qualificato, è chiaro che l’azione da sviluppare non si può limitare ad una serie di iniziative culturali da svolgere nel corso dell’anno (una sorta di sagra paesana o Festa del Mandorlo in Fiore estesa per dodici mesi), ma deve mettere a punto una precisa idea di città e coinvolgere le istituzioni pubbliche e i soggetti sociali e culturali che possano concretamente realizzarla. Quindi, non solo l’istituzione Comune e il Polo Universitario, ma anche l’Ente Parco, Il museo archeologico Pietro Griffo, il Mudia e, coerentemente con i vari aspetti culturali sociali e ambientali individuati dal bando, anche quella rete di associazioni che operano sul territorio. Per citarne alcune: la Fondazione Sciascia, l’Associazione Strada degli Scrittori, la Farm Cultural Park, il Giardino della kolymbetra del FAI, l’Accademia di Santa Cecilia, il Piccolo Teatro Pirandelliano, la Legambiente, l’Arci, l’Associazione Mareamico, la Caritas Diocesana, i Volontari di strada, l’associazione Tierra Techo Trabajo (quest’ultima impegnata a Villaseta in un interessante progetto di inclusione sociale e di superamento del digital divide).
Un progetto per la città
Quanto al progetto da costruire, non è facile partire da quella che dovrebbe essere l’idea di città della maggioranza politica che sostiene il sindaco Franco Miccichè e non aiuta la comprensione neanche la lettura del programma elettorale presentato lo scorso anno, che non è certo lo strumento guida dell’azione di governo. Bisogna rifarsi, allora, a quelle che sono le ragioni profonde che motivano la candidatura della città e, seguendo le finalità del bando ministeriale, immaginare la direzione dello sviluppo dell’Agrigento dei prossimi decenni, il più possibile in linea con le tendenze comuni alle città d’arte europee. Quindi, un progetto di città che parta dalla sua storia importante di simbolo della classicità greco-romana prima, araba e normanna poi; dalla sua posizione geografica nel mediterraneo, che la pone come porta d’ingresso d’Europa; dalla sua naturale vocazione ad essere cerniera nei rapporti nord-sud del mondo, perché storicamente momento di incontro di culture e civiltà diverse. Una città che si immerga sempre più in una dimensione multietnica e multiculturale, per diventare un centro cosmopolita e punto di riferimento nel mediterraneo per la sua capacità di accoglienza e di integrazione sociale. In questo, un ruolo importante potrebbe giocare anche la presenza di un’università che diventi attrattiva anche di studenti, studiosi, ricercatori e docenti di tutto il bacino del mediterraneo.
Infine, una città che riconosca finalmente il caos urbanistico generato dalla sviluppo edilizio anarchico degli ultimi 70 anni, per avviare un risanamento progressivo delle ferite inferte al territorio, intraprendere con decisione il recupero del suo centro storico, superare la cesura tra la città classica e quella araba, recuperare una migliore qualità del vivere con una viabilità e una modalità di trasporto alternative ed ecologiche. Una città che sappia presentare una quotidianità più decorosa e vivibile, perché tra le brutture la cultura non può abitare.
Un progetto che vada in questa direzione, poi, potrebbe trovare utili indicazioni programmatiche in quei prestigiosi eventi culturali che negli anni sono stati perduti, soprattutto per insipienza amministrativa. Penso alla Settimana di studi pirandelliani, che portava in città studenti e docenti da ogni parte d’Italia; alle Rappresentazioni pirandelliane tenute al piazzale caos con la partecipazione di primarie compagnie teatrali; al teatro classico messo in scena dalle Feste di Persefone, organizzate a partite dagli anni trenta del ‘900 (da riproporre magari nella splendida cavea di parco Icori, in un gemellaggio ideale con le rappresentazioni dell’INDA al teatro antico di Siracusa); al premio cinema-narrativa Efebo d’Oro; alle sfilate di alta moda La Kore nella valle del mito con la partecipazione dei più grandi stilisti; al Festival della scienza con la presenza di scienziati di fama internazionale. Sono iniziative che hanno portato ad Agrigento artisti ed intellettuali dello spessore di Gigi Proietti, Paolo Ferrari, Michele Placido, Paola Gasman, Francesco Rosi, Fanny Ardant, Giuseppe Tornatore, Ettore Scola, Mario Monicelli e tanti altri talenti del mondo dell’arte (non certo un Cateno De Luca). Il recupero di queste prestigiose esperienze culturali, in aggiunta al Festival del cinema archeologico che si svolge nella Valle dei Templi, potrebbero già costituire una parte importante del programma di iniziative culturali.
Arte, letteratura, teatro, cinema, scienze, archeologia, moda, sono gli ingredienti giusti per un turismo colto, curioso, intelligente che ami interagire con la storia e le tradizioni dei luoghi visitati.
Accanto a tutto questo, ovviamente, è necessario pensare ad una qualità dei servizi pubblici decisamente migliore. La città non può presentarsi con cumuli di immondizia disseminati dalle vie di accesso al centro storico, con strade perennemente sporche, buche ad ogni angolo, lapazze e dissesti stradali come costante paesaggistica, segnalazioni turistiche quasi inesistenti, trasporti urbani ai minimi termini (per percorsi, estensione temporale e frequenze delle corse, strutture di servizio), servizi informativi latitanti. Insomma, una città parecchio sgarrupata.
Quale turismo per Agrigento?
In questo mare di insufficienze, che dovrebbero vedere gli amministratori alacremente al lavoro per produrre qualche miglioramento, c’è chi pensa in grande, come l’assessore Gerlando Principato, che parla di un progetto per l’attracco delle navi crociera a San Leone. Si tratta nient’altro che di una boutade. Un po’ come la proposta di costruire l’aeroporto ad Agrigento: quando la politica non sa amministrare bene, cerca di sviare l’attenzione sparandola grossa. I giganti del mare che trasportano i croceristi sono dei mostri di migliaia di tonnellate che hanno bisogno di porti ben attrezzati e fondali profondi per attraccare. Non è certo il caso del porticciolo di San Leone e non sarà spendendo un milione di euro (una cifra irrisoria per i lavori che sarebbero necessari) che si potrà renderlo idoneo. Opera che, comunque, avrebbe un impatto ambientale devastante per la costa sanleonina e che sarebbe insensato costruire, vista la vicinanza del molo di Porto Empedocle. Tra l’altro l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale ha già elaborato per la città marinara un progetto, presentato nel giugno del 2020, che prevede una serie di lavori portuali, quali: la demolizione e il rifacimento della banchina Sciangula; la realizzazione del nuovo terminal passeggeri sulla banchina Nord e del nuovo terminal sul molo Crispi; la scogliera di protezione della darsena di ponente; il dragaggio del porto. Il tutto per un totale di 70 milioni di euro di opere. A lavori terminati, Porto Empedocle sarà in grado di ospitare le grandi navi crociera. Così si potrà concretizzare l’accordo concluso a fine 2019 con le grandi compagnie, MSC e Costa, per l’approdo delle crociere mediterranee.
Ma siamo sicuri che questa sia la direzione giusta per lo sviluppo turistico di Agrigento? Il crocerista rappresenta un turismo di massa non molto esigente, attento alle formule “all inclusive” (quindi, spende molto poco dove arriva), non soggiorna in città, solitamente non ricerca momenti esperienziali, si ferma mezza giornata e al massimo compra qualche souvenir. Non proprio il turismo che può interessare una città d’arte. Roma, Firenze, Siena, Perugia non hanno i croceristi e Venezia che ce li ha cerca di allontanarli.
Il ruolo della classe dirigente
A questo punto, partendo dall’idea di città che si vuole realizzare, si deve aprire una riflessione sul tipo di turismo che vogliamo accogliere per i prossimi decenni.
A tal proposito, può essere utile riportare i termini di un dibattito, interessante quanto polemico, svoltosi due anni fa Palermo nel corso di “Una Marina di libri”, tra il sindaco Leoluca Orlando e il regista Franco Maresco.
Orlando magnificava l’impatto del recupero delle aree del centro storico sul flusso delle presenze turistiche: piazze e strade, una volta piene di auto e ora restituite alla fruibilità dei pedoni, attirano i viaggiatori delle grandi navi che attraccano ogni giorno nel porto di Palermo, con conseguente incremento di presenze turistiche e di attività commerciali.
Maresco, da intellettuale visionario, paventava la trasformazione del centro storico in una quinta cinematografica ad uso prevalente di turisti dal consumo veloce e stereotipato. Una città antica trasformata in un bazar pieno di negozi di souvenir che offrono coppole, templi di sughero, oggetti dozzinali di ceramica, pupi made in China, magliette con la Sicilia stampata (qualche creativo – si fa per dire – offre anche quelle con l’immagine del padrino o la scritta Mafia). Il tutto contornato dall’armamentario standardizzato di fast food di vario tipo. Insomma, quasi un non-luogo, un sito senz’anima, privo di una identità specifica.
Lo sforzo di Franco Maresco cercava di evidenziare la necessità di recuperare non solo gli edifici e le condizioni fisiche di abitabilità urbana, ma di riportare nel centro storico le botteghe, le professioni, le osterie, i mercatini, gli abitanti originari (allontanati nelle periferie da un processo accelerato di gentrificazione, cioè di sostituzione dei ceti popolari con ceti sociali abbienti) in modo da ricostruire quella tradizione perduta del vivere comune che la storia aveva sapientemente forgiato nei secoli passati.
Maresco e Orlando non riuscirono ad intendersi. La cifra estetica e culturale dell’uno si scontrava con la contabilità politico-produttivistica dell’altro.
Il dibattito sul tema di come recuperare i centri storici e di quale funzione affidare alle città d’arte è aperto, e le soluzioni che verranno ricercate influenzeranno molto la nostra qualità del vivere urbano nei prossimi decenni.
Ad Agrigento, però, sembriamo molto lontani da questo fondamentale confronto culturale. Se ha un merito la grossolana sortita dell’assessore Gerlando Principato, è quello di aver evocato i rischi che corre la città dal perseguimento di progetti di sviluppo fondati ancora sulla cementificazione. Egregio assessore, la sua idea di sviluppo è vecchia e gravida di guasti. La città ha già pagato un prezzo molto alto alle politiche urbanistiche dissennate degli ultimi decenni. È ora di cambiare verso.