A trent’anni dalle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio, la lotta alla Mafia è sparita dal dibattito politico, dalle priorità dei governi nazionali e dai programmi di quasi tutti i partiti. Il problema centrale, come non si stanca di ripetere Nicola Gratteri, tra i magistrati più esposti nel fronte giudiziario dell’antimafia, e che la lotta alla mafia (ma sarebbe meglio dire alle mafie) non è più stata trattata come un’emergenza dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni. E questo vale anche per il governo Draghi e l’attuale parlamento. Nessun ministro, sottosegretario, presidente di commissione parlamentare che stia oggi preparando o discutendo provvedimenti legislativi o amministrativi che riguardino il contrasto alle mafie. Anche la stampa, con l’eccezione delle inchieste di Attilio Bolzoni pubblicate su “Il Domani” (quotidiano purtroppo assente dalle edicole siciliane), relega i fatti di mafia a semplici cronache di nera di cui dar conto in qualche trafiletto delle pagine interne.
In questo contesto di sensibilità antimafiosa affievolita, può anche accadere, quasi fosse un fatto normale, che i due più noti politici condannati per reati di mafia (l’ex senatore ed ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, condannato a 7 anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia; l’ex deputato, ex senatore ed ex parlamentare europeo Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, riconosciuto come mediatore tra Cosa Nostra e l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi) figurino tra i dirigenti più influenti del centrodestra siciliano e siano tra i principali artefici della candidatura di Roberto Lagalla a sindaco di Palermo e di Nello Musumeci a presidente della regione Sicilia.
Il candidato Lagalla ha preparato per Palermo un programma, a suo dire rivoluzionario, dove parla di tutto, tranne che di mafia. Quasi Cosa Nostra fosse scomparsa, invece di essere saldamente nelle mani dell’ultimo stragista “corleonese” Matteo Messina Denaro che, ben mimetizzato e protetto in qualche villa della Sicilia occidentale, continua a reggere le fila del sodalizio politico-criminale più pericoloso della storia repubblicana. Mentre il presidente Nello Musumeci, qualche giorno fa, si è recato all’hotel delle Palme di Palermo (luogo emblematico, spesso intrecciato a vicende di mafia) per essere ricevuto (?) da Marcello Dell’Utri. Oggetto dell’incontro, la prossima ricandidatura di Musumeci nelle elezioni regionali di fine anno. Pare che abbia chiesto l’appoggio di Dell’Utri e di Forza Italia e che nell’occasione l’ex senatore sia stato il tramite per un colloquio telefonico tra il governatore e il padre-padrone di Forza Italia Silvio Berlusconi.
Questi fatti sono stati stigmatizzati da diverse personalità, tra cui il procuratore della repubblica Luigi Patronaggio, il giudice dell’ex pool antimafia Giuseppe Di Lello, il giudice Alfredo Morvillo (fratello di Francesca, moglie di Giovanni Falcone), Maria Falcone (sorella di Giovanni). Tra i politici tanti silenzi a destra, mentre a sinistra le reazioni più significative sono state quella di Gioacchino Scaduto, ex giudice antimafia, capolista del movimento “Sinistra civica ecologista” e quella di Claudio Fava, attuale presidente della commissione parlamentare antimafia siciliana, che ha svolto in questa legislatura una preziosa indagine sul “Sistema Montante”, sui depistaggi dell’inchiesta sulla strage di via d’Amelio e sulla gestione dei beni confiscati alla mafia.
A difesa di Roberto Lagalla e Marcello Dell’Utri è intervenuto autorevolmente il professore di diritto penale Giovanni Fiandaca il quale, facendo riferimento all’art. 27 della costituzione, che attribuisce alla pena una funzione rieducativa e riabilitativa del condannato, riconosce loro il pieno diritto di continuare ad impegnarsi in politica, svolgendo un ruolo attivo “eventualmente condizionando le dinamiche politico-elettorali”. Il professore conclude poi con un formidabile endorsement al candidato sindaco di Palermo: “Conosco e stimo Roberto Lagalla. In ogni caso mi sento di escludere che egli si faccia consapevolmente rappresentante di interessi poco nobili”.
Il prof. Fiandaca ha perfettamente ragione sul piano giuridico. Dell’Utri e Cuffaro non stanno commettendo nulla di illecito: hanno voglia di far politica e continuano legittimamente a farla. Il problema, però, è enorme se lo si valuta da un punto di vista dell’opportunità politica e della morale. Cuffaro e Dell’Utri sono espressione di equilibri politici di un modo vecchio di far politica (che si sperava fosse stato definitivamente superato) connotato da rapporti indicibili e in qualche caso illeciti con ambienti mafiosi. E la mafia non è una semplice associazione a delinquere (per quanto già sarebbe condizione ostativa più che sufficiente), ma è una consorteria criminale che è sempre vissuta e prosperata in simbiosi con il mondo politico e istituzionale. Pertanto, è una enormità sul piano politico e morale che due partiti importanti del centrodestra siciliano vengano rappresentati da due condannati per mafia. In nessun altro paese dell’occidente democratico un caso del genere sarebbe minimamente immaginabile.
Con quale credibilità l’eventuale sindaco Lagalla e il governatore Musumeci potrebbero impegnare le istituzioni che andrebbero a rappresentare nella lotta alla mafia? O anche, più semplicemente, come riuscirebbero a presenziare a cerimonie per ricordare i caduti nella lotta alla mafia, dopo aver chiesto il sostegno a due condannati per fatti di mafia come Dell’Utri e Cuffaro? Si sentirebbero a loro agio nell’ascoltare la lettura delle famose parole di Paolo Borsellino di denuncia della connivenza mafiosa? “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Ma questi politici non provano un po’ di vergogna al solo pensiero di appoggi così imbarazzanti?
Uno dei meriti indubbi di Leoluca Orlando in questi anni è stato quello di aver sfidato e tenuto la mafia fuori dal comune di Palermo. È molto triste pensare che con la sua uscita di scena si rischi concretamente di riportare indietro di alcuni decenni l’orologio della politica siciliana.