Dopo la lunga esperienza amministrativa di Leoluca Orlando la maggioranza dei palermitani ha deciso di affidare la città alle cure di Roberto Lagalla e dei suoi danti causa. Nel programma del nuovo sindaco si parla di tantissime cose, tranne che di mafia. E si capisce la sua difficoltà, viste le sponsorizzazioni di Salvatore Cuffaro (ex senatore ed ex governatore della Sicilia, condannato a 7 anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia) e di Marcello Dell’Utri (ex deputato, ex senatore ed ex parlamentare europeo, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, riconosciuto come mediatore tra Cosa Nostra e l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi) che oggi sono riconosciuti tra i dirigenti più influenti del centrodestra siciliano. Nel conto bisogna anche mettere l’arresto in piena campagna elettorale di due candidati, uno di Forza Italia e l’altro di Fratelli d’Italia, con l’accusa di voto di scambio potitico-mafioso. Da segnalare, infine, l’assenza di Roberto Lagalla dalle manifestazioni in ricordo del giudice Giovanni Falcone e della strage di Capaci del 1992. Ma questo non ha turbato la coscienza civile dei palermitani che hanno votato Roberto Lagalla. Così, si può capire perché uno dei più autorevoli giornali tedeschi, la Suddeutsche Zeitung, in una corrispondenza sulle elezioni palermitane ha potuto titolare a piena pagina “Die Mafia lebt”, la mafia è viva.
Dopo risse durate mesi, i vari capibastone del centrodestra hanno trovato un accordo e hanno messo in campo il meglio, cioè il peggio, del loro campionario. Nomi, pratiche politiche, curricula che aleggiano come un incubo per quella parte della città che, forse troppo presto, aveva pensato che Palermo forse diventata una città normale, non più la capitale della mafia, il regno di Cosa Nostra.
Ma perché hanno votato così tanti palermitani?
È vero, la città negli ultimi anni la città ha palesato una gestione carente: strade piene di spazzatura, buche dappertutto, lavori in corso che sembrano infiniti, verde pubblico trascurato, bare ammassate al cimitero dei Rotoli in attesa di una degna sepoltura, periferie poco curate. Temi, questi, che hanno inciso molto sulla qualità della vita dei cittadini. Ma quanti sono a conoscenza del fatto che il comune in questi anni ha subito un calo costante dei trasferimenti finanziari da parte della regione e dello stato? Quanti sanno che l’ente regionale che si occupava della riscossione dei crediti del comune, il carrozzone di Riscossione Sicilia, dei 160 milioni che avrebbe dovuto incassare per conto del comune di Palermo ne ha incassati solo 6, facendo mancare alle casse comunali una montagna di soldi, che avrebbero potuto migliorare sensibilmente la qualità i servizi resi alla collettività?
Capisco l’amarezza nel vedere una città alle prese con i problemi di sempre, ed è giusto dolersene, ma la città è stata anche molto altro in questi anni.
Palermo si è qualificata in questi anni come città dei diritti, come ama ripetere giustamente Orlando. Città aperta ed accogliente. Qualcuno ricorderà la decisione del sindaco di accordare la residenza agli immigrati privi di dimora e di un lavoro, consentendo loro di accedere all’assistenza sanitaria e al permesso di soggiorno, nonostante il divieto contenuto nel cosiddetto decreto sicurezza del ministro dell’interno Salvini. Oppure, l’istituzione del registro coppie di fatto, prim’ancora che venisse approvata la legge nazionale. E poi, il patrocinio del gay pride per la difesa dei diritti delle persone LBGT. Il Pride più a sud d’Europa per ribadire l’uguaglianza di diritti per tutte le persone, indipendentemente dalle scelte sessuali e affettive di ognuno: un messaggio in controtendenza rispetto all’opinione comune, che vede il meridione come una terra di retroguardia sui temi che riguardano l’orientamento sessuale delle persone.
Ma il merito più importante di Leoluca Orlando in questi anni è stato indubbiamente quello di aver sfidato e tenuto cosa nostra fuori dal comune, contribuendo a trasformare Palermo da capitale della mafia in luogo di eccellenza, riconosciuta in tutto il mondo, per il contrasto alla criminalità organizzata. E di questa rinnovata immagine Palermo si è molto giovata, attraendo flussi crescenti di turisti, ma anche di intellettuali, studiosi, artisti che hanno arricchito il tessuto civile e culturale della città.
La mafia è stata tenuta lontana dagli affari della città soprattutto perché i servizi pubblici (servizio idrico, trasporti, nettezza urbana, gestione discarica di Bellolampo, energia) sono rimasti nelle mani del comune e, quindi, sottratti all’affarismo e alle grinfie malavitose. Merito da attribuire anche alle battaglie della piccola ma combattiva pattuglia di Sinistra Comune. Sono state create le prime aree pedonali, sia pure tra tante difficoltà, che hanno cambiato il volto del centro urbano. Le linee del tram realizzate e quelle da realizzare, assieme alla metropolitana, al passante ferroviario e alle piste ciclabili, modificheranno profondamente il modo di spostarsi e di vivere a Palermo. I cantieri culturali della Zisa sono rinati e in via di espansione e rappresentano una formidabile città della cultura. Il teatro Massimo gode di un prestigio mai avuto prima. Le politiche di assistenza e solidarietà sociale, nonostante i problemi enormi di bilancio, hanno erogato aiuti e contributi crescenti per i ceti meno abbienti.
Ce la ricordiamo tutti la Palermo prima di Orlando?
Il centro storico in preda ai crolli; il Foro Italico in uno stato indecoroso, pieno di giostre; la Cala degradata, inquinata e puzzolente; il castello della Zisa abbandonato; il teatro Massimo chiuso da decenni; i cantieri culturali solo un ammasso di rovine; le vie principali del centro sature di smog e traffico; le piazze più belle ridotte ad ammasso di lamiere.
Chi ha governato la città in questi decenni (non bisogna dimenticare che se Orlando è stato un leader di prima grandezza, accanto ha avuto anche uomini e donne di grande valore) ha avuto la capacità di portare Palermo fuori del pantano, di ridarle il respiro e la visione di una grande capitale del mediterraneo.
Certo, la gestione ordinaria della città presenta molte insufficienze, ma prima di fare il lungo elenco delle cose che non vanno, occorrerebbe capire quale era il livello di agibilità politica della giunta comunale in questi anni. La maggioranza in consiglio, in seguito alla defezione dei renziani e di altri consiglieri, si è dissolta. Questo ha portato ad un continuo ostruzionismo che ha reso estremamente complicata l’azione di governo: continue trattative su ogni delibera, il nuovo piano regolatore bloccato, il piano triennale delle opere pubbliche prima bocciato (con il rischio di perdere centinaia di milioni di finanziamenti già approvati) e poi ridimensionato; il completamento della rete tramviaria messo in forse. Si aggiunga, poi, le lungaggini e l’ostruzionismo degli uffici regionali nella realizzazione della nuova vasca dei rifiuti della discarica di Bellolampo: ritardi su ritardi che hanno complicato il conferimento dei rifiuti e aumentato di molto il costo dello smaltimento. (Il governo regionale – di cui faceva parte fino a poche settimane fa anche Roberto Lagalla- , per esempio, non ha predisposto alcun piano per la gestione del ciclo dei rifiuti, né ha realizzato impianti sufficienti ad assicurare il trattamento della raccolta differenziata di vetro, carta, plastica, umido e legno)
Ai tanti problemi aperti della città, oggi si riaffaccia di nuovo la questione mafia, perché così ha voluto la destra, affidando la sua guida politica e morale a due condannati per fatti di mafia, applaudendoli e omaggiandoli.
Gli indubbi meriti dell’esperienza Orlando e il rischio mafia, che si riaffaccia sempre più forte, non sono stati sufficienti a superare le tante motivate delusioni e a spingere il popolo della sinistra alle urne. Le astensioni, infatti, hanno pesato molto sul risultato di Franco Miceli.
La destra, invece, nonostante gli insulti pesanti che volano tra i vari esponenti, si coalizza facilmente perché ha un collante formidabile: l’occupazione del potere, gli affari. E di affari a Palermo ce ne saranno molti nei prossimi anni: progetti approvati e finanziati per circa due miliardi di euro, a cui si aggiungeranno altri fondi del PNRR. E poi, la privatizzazione (perché questo faranno) delle principali società di servizi pubblici, che costituiscono il vero tesoro della municipalità palermitana: l’AMG Energia, L’AMAT, la RAP, la discarica di Bellolampo, l’AMAP (Palermo è una delle pochissime città siciliane che ha mantenuto la gestione pubblica dell’acqua). Miliardi e miliardi di euro che fanno gola a molti. Naturalmente, anche a Cosa Nostra.
È molto triste pensare che con la uscita di scena di Leoluca Orlando si rischi concretamente di riportare indietro di alcuni decenni l’orologio della politica siciliana.
Ma i palermitani perché hanno votato Lagalla?
Forse non hanno visto il mondo maleodorante che gli sta dietro e si sono convinti che sarà un bravo amministratore, che renderà Palermo più bella, più efficiente, più vivibile?
Non penso proprio. Roberto Lagalla non è nuovo alla politica. È stato assessore regionale alla sanità con Totò Cuffaro, rettore dell’università e assessore regionale alla formazione professionale nella giunta di Nello Musumeci. In nessuna di queste cariche ha mai dato prove di particolare efficienza.
Lagalla ha raccolto il voto di quelli che ideologicamente si collocano a destra: quelli che sono contro gli immigrati, contro l’integrazione degli stranieri, che non vogliono il riconoscimento dei diritti delle persone LBGT, che sono contro il Pride, contro l’eutanasia assistita, contro la legalizzazione delle droghe leggere. Insomma, quelli che si riconoscono nello slogan “prima noi”. Poi, ci sono quelli che vogliono privatizzare tutto, quelli a cui non frega niente dell’ambiente e non vogliono le aree pedonali, le piste ciclabili e il tram in via libertà.
Ma l’elemento determinante della vittoria di Lagalla è stata indubbiamente la messa in campo di una formidabile macchina per la raccolta del consenso. Le nove liste in appoggio a Roberto Lagalla con centinaia di candidati mobilitati, non sono un esempio di partecipazione e di democrazia, ma la dimostrazione di quanto pervasivo sia diventato in Sicilia il controllo del voto. Molti, soprattutto a destra, si candidano non sulla base di un progetto di città e di un ideale politico-sociale, ma più prosaicamente per la ricerca di un piccolo pezzo di potere da gestire o per accampare (sulla base delle preferenze riportate) crediti con il potente di turno, da barattare in futuro con favori e privilegi. C’è una tendenza alla proliferazione dei gruppi politici, che ha portato in Sicilia ad un’organizzazione quasi tribale della società, che polverizza la rappresentanza in tanti gruppuscoli privi di una visione dell’interesse generale.
Leoluca Orlando con la sua immagine di paladino antimafia è riuscito a rompere questo sistema arcaico e a convogliare verso la sua candidatura i ceti sociali più diversi: l’aristocrazia, la borghesia delle professioni, il popolo delle borgate, che gli vuole bene e lo osanna, chiamandolo affettuosamente “u sinnacu Ollando”. Orlando è riuscito a mettere assieme gli ambientalisti, la sinistra radicale, i moderati e anche qualcuno dei ras che cercavano posti di sottogoverno, garantendo così la maggioranza in consiglio comunale. Insomma, ha cucito insieme speranze, passioni, visioni, impegno civile, ma ha imbarcato, per necessità, pure qualche pezzo di politica politicante. Per un po’ il sistema ha retto, ma non poteva durare all’infinito. Comunque, questo amalgama che molti aborriscono, ha garantito l’avvio di un profondo cambiamento della città. Ora che Orlando è uscito di scena, però, si rischia il ritorno all’indietro di cinquant’anni, buttanissima Sicilia.
P.S. Conosco poco il candidato sindaco Franco Miceli, ma da quello che ho potuto vedere in campagna elettorale non mi è sembrato il candidato migliore per il centrosinistra. Ha preso le distanze da Orlando, con il quale non ha condiviso alcuna manifestazione pubblica di campagna elettorale. Inoltre, ritengo sia stato un madornale errore politico, oltre che uno sgarbo personale, non partecipare alla presentazione, tenutasi a Casa Professa, del consuntivo dell’esperienza del sindaco Orlando e della sua giunta. Poi, mi è sembrato completamente non in partita nel confronto finale con gli altri candidati a Villa Filippina: aveva un’aria distaccata, direi quasi annoiata. In quell’occasione non ha rivendicato i tanti meriti del governo passato della città, quasi quell’esperienza non appartenesse al suo schieramento; non ha battagliato sulla questione morale e sulla lotta alla mafia; sulla mobilità dolce e sul progetto del passaggio del tram in via libertà si è detto pronto ad una consultazione dei residenti, di fatto smentendo il percorso impostato dalla vecchia amministrazione, sconfessando Leoluca Orlando e Giusto Catania e dando linfa alle speculazioni della destra retrograda; su altri punti i suoi discorsi mi sono sembrati superficiali (forse poco informato degli ultimi passaggi politici cittadini) e intrisi di senso comune, incapaci di suscitare visioni e sogni di cui si nutre il popolo della sinistra. A quel dibattito finale il centrosinistra sarebbe dovuto arrivare attrezzato diversamente. Sarebbe stata necessaria l’esperienza amministrativa, la passione politica, la chiarezza espositiva, la verve polemica di un Giusto Catania o di una Valentina Chinnici.