di Tano Siracusa
Avevo chiesto ad un amico, Andrea Gerlando Terrana, un parere su questo video che avevo condiviso sulla mia pagina Facebook. Mi ha risposto che aveva guardato e soprattutto ascoltato solo i primi secondi, il tempo per riconoscere il vecchio Ludwig, l’Inno alla gioia, e di avere subito smesso di ascoltare e guardare.
Andrea, musicista e compositore, ritiene che tutti gli spazi musicali importanti siano monopolizzati dai classici e dalla tradizione e che alla ricerca, alla sperimentazione musicale legata in particolare all’elettronica sia destinato l’underground.
Perciò per un paio di secoli bisognerebbe sospendere l’ascolto della musica classica e promuovere solo la ricerca e l’ascolto di nuove sonorità, mi ha detto qualche giorno dopo. Una piccola provocazione durante una chiacchierata in macchina, che prendeva spunto dalle invettive marinettiane contro i musei e Venezia.
Fatto sta che il mio amico musicista non ha voluto vedere cosa succede durante quella insolita esecuzione di una delle pagine più famose di Beethoven: il pubblico che, come da un magnete, viene attratto dai musicisti che si aggiungono uno dopo l’altro o a piccoli gruppi fino a comporre l’intera orchestra, fino a intonare il coro dell’Inno alla gioia.
Un rovesciamento dell’esperimento di Duchamp che aveva preso un manufatto seriale, un orinatoio, e lo aveva esposto in una galleria.
Qui un oggetto consacrato nelle cornici viene portato in una piazza, senza alcuna presentazione, senza parole, senza cornice.
Viviamo in ambienti che hanno spesso uno sfondo musicale sfocato, immerso e confuso nel chiasso della quotidianità. Sentiamo tanta
musica senza ascoltarla.
In quella piazza invece il pubblico che si raccoglie attorno all’orchestra, un pubblico generico, casuale, di tutte le età, sta ascoltando con crescente attenzione e molti alla fine cantano le parole di Schiller.
Il proporsi improvviso e discreto, in punta di piedi, nella quotidianità di quelle note sottrae la folla alla chiacchiera e a poco a poco la ammutolisce. E’ importante l’opera, infatti, non il contesto: un orinatoio rimane un orinatoio anche in un museo, la nona sinfonia di Beethoven ammutolisce chi l’ascolta sia in una sala di concerto sia ‘incontrata’ per caso in una piazza.
John Cage diceva di preferire l’ascolto del rumore della città all’ascolto di Beethoven: sempre diverso il primo, uguale a se stesso il secondo.
Eppure Cage ha composto della magnifica musica da camera che sembra provenire dal mondo di Schubert e dello stesso Beethoven, che sicuramente non ha mai smesso di ascoltare. Come, certamente, Andrea Gerlando, che ha studiato a lungo al conservatorio, suonato per anni chitarra classsica, e conosciuto assai bene il tradizionale canone occidentale.
E’ vero d’altra parte che l’incontro con il pubblico, l’ascolto pubblico della propria musica permetterebbe di guadagnare e vivere di un lavoro che, se non retribuito, non è più un lavoro.
Ed è anche vero che da Cage in poi l’esigenza di fare silenzio, di ascoltare il silenzio e il brusio della sala, appare a molti come l’opportuna premessa di un nuovo ascolto. Di sonorità mai ascoltate.
Ma se davvero questo silenzio dovesse durare due secoli, come dice provocando Andrea, se dovesse essere questo il tempo necessario perché il silenzio di Cage riesca ad attrarre la folla e a zittirla come accade nel video, allora alla nuova avanguardia è assegnato oggi l’underground fisico, le cantine, la ribalta virtuale del web e la ricerca di un lavoro per campare.
Dopo gli esperimenti dimenticati delle avanguardie, la prima grande rivoluzione musicale del ‘900, il jazz, viene fuori dai piccoli locali, dalle cantine, dalla strada. E nella seconda metà dell’ ‘800 la prima cesura moderna nella pittura, quella degli impressionisti, verrà sostenuta per una ventina di anni soltanto da pochi amici, per lo più scrittori e poeti, e da qualche avventuroso collezionista o mercante d’arte. Solo dopo venti anni di bohème Monet potè comprare la villa con giardino a Giverny.
Tennero duro, musicisti e pittori, fino a guadagnare l’attenzione e il consenso dal grande pubblico e della critica, fino a stabilire un nuovo orizzonte estetico, a sua volta messo in discussione dalle generazioni successive.
Ma di sicuro ancora oggi quei vecchi magneti continuano a funzionare e la loro storia può suggerire se non un percorso, – troppo diversi i contesti – un atteggiamento, un modo di posizionarsi a chi vorrebbe oggi affermare un nuovo canone.