di Vito Bianco
Ho pensato in questi giorni che le prossime storie dell’arte dovrebbero essere scritte (è una modesta proposta) evidenziando le caratteristiche delle quattro grandi epoche in cui è possibile suddividere l’appassionante vicenda dell’arte occidentale. La prima è quella che si potrebbe chiamare dell'”opera anonima”, che dura per tutto l’Alto Medioevo; in questo periodo l’artefice è appunto senza nome e coincide con il manufatto che produce, in una sorta di perfetto spirituale annullamento o reificazione nell’opera realizzata. L’opera sopravanza l’artefice, che sembra contare solo come mero strumento di una tecnica e di un sapere collettivi, che l’artigiano non ancora artista assimila più con il lavoro e lo studio che per virtù innata.
La seconda è quella che possiamo chiamare “l’epoca della committenza”, nella quale al centro della scena troviamo la figura del committente: il principe, il Papa, il banchiere, il vescovo – e dal Seicento, soprattutto nel Nord dei Paesi Bassi, il borghese mercante. L’artefice è quindi diventato artista, ha un nome, una fama, uno stile (che è anche un marchio di “bottega”), ma gode di una libertà relativa, che usa con parsimonia e oculatezza per tenere viva la fama e il corrispondente potere contrattuale, che si traduce in incarichi e denaro. Si crea una naturale gerarchia tra gli iscritti alla corporazione, un borsino artistico variabile alimentato dal talento e dalla capacità di creare solide relazioni.
Anche in quest’epoca vige il codice, la convenzione, la retorica di un’arte (pittura e scultura) costrette nelle righe di una partitura prestabilita, con poche e minime eccezioni, il cui numero cresce man mano che ci si avvia alla conclusione di questa fase, quando si fa strada una forte esigenza di realismo e di verità naturale.
Il terzo periodo di questa suggestione storiografica è nel segno dell’arte e dell’artista, della sua avventurosa, romantica mitologia. Non ci sono più committenti ma mercanti d’arte, e l’artista non produce più per qualcuno o per un’istituzione, produce per l’arte, per l’espressione, per il valore estetico.
Sono gli inizi di un “sistema dell’arte” che si farà sempre più pervasivo e condizionante, ma per il momento è però ancora possibile mettere in gioco carte diverse in una vitale dialettica tradizione innovazione, accademia avanguardia, convenzione sperimentazione. Siamo alla fine del Diciottesimo secolo, in equilibrio conflittuale e stimolante tra neoclassicismo, cosiddetta pittura di genere e prime sortite fuori dallo studio. Questo equilibrio si romperà con l’affermazione del nuovo, come sempre accade in ogni campo.
Nell’ultimo scorcio di questa interessantissima fase la figura dell’artista acquista un fascino eroico, con la quasi inevitabile esistenza difficile e l’iniziale incomprensione e rifiuto da parte di un consolidato sistema dell’arte per sua natura restio ad accogliere le novità. È un travaglio che produce santità artistiche leggendarie, controversie, opere; e poi riconoscimento, fama, “biografia”.
Nella quarta e ultima epoca, quella che stiamo ancora vivendo, il mito dell’artista eroe tocca il culmine, oltre il quale c’è solo quella che si
potrebbe chiamare “sublimazione del nome”.
Si tratta di una vera e propria “rivoluzione copernicana” – o meglio: duchampiana – che consiste in sostanza nel mettere in non cale l’opera e divinizzare il nome dell’artista, che non forgia (produce) nulla se non la propria firma autenticata dal suddetto sistema, o il proprio corpo aureolato dato in pasto nelle publiche ostensioni.
Il “nome” è il feticcio e il feticcio genera valore commerciale in modo direttamente proporzionale alla potenza raggiunta. L’arte, alla fine di un lungo viaggio, si è liberata delle opere e si muove leggera e spensierata all’insegna del glamour e della trovata, tra eventi mondani, scandali calcolati, fiere e pubblicità.
Ma se il nome è tutto è facile prevedere che, prima o poi, l’artista non avrà più bisogno nemmeno di un oggetto che funge da pretesto – la banana o la noce di cocco – e venderà, a caro prezzo, solo la propria soddisfatta firma su un semplice e anonimo pezzo di carta.