di Pepi Burgio
Incisivo come sempre James Hillman: la “base poetica della mente”, costituente l’innata modalità di comprensione, ci esorta a disfarci dell’intransigenza concettuale, per avvertire come rassomiglianti, connotazioni, implicazioni, di pertinenza di sfere percettive diverse e spesso fra di loro irrelate. E quindi può accadere, è il caso di Paolo Conte, che la visione dell’azzurro di un accappatoio allevi la scontentezza per un tempo grigio, un amore buio mentre fuori, in un mondo freddo, piove. Poi all’improvviso, provvidenziale, irrompe una luce piena di vertigine, luce di pioggia, luce di conquista, a ristorare la consueta stanchezza, le vicissitudini, le solitudini, i laghi bianchi del silenzio, la sensualità delle vite disperate nelle stanze degli alberghi tristi. Fin quando, come in uno sfavillante miraggio, appare una donna, vestita come uno vuole, dall’eleganza di zebra.
Parole, si dirà, e come tali presto destinate all’oblio, all’invisibilità; ma che nel magma poetico in cui Conte le immerge, si convertono in immagini vivacemente composte. E attendono chi le sappia rappresentare seguendo misteriose alchimie. Così anche la fragranza di vecchie lavande o la sensazione tattile del lino, tratteggiano in figurazioni colorate ciò che lusinga la memoria olfattiva di stagioni, direbbe Borges, anteriori alla nostra nascita. Le suggestioni esotiche che popolano l’immaginario poetico di Conte, sontuoso quasi quanto quello di Fellini, si avvalgono di una vigorosa sapienza jazzistica, per arricchire di significato le già vertiginose invenzioni testuali; ritagliando per l’artista un ruolo di assoluta unicità.
Il grumo percettivo dove si affollano le ubriacanti fantasie di Conte, la tiepidezza delle sue malinconie, la cassapanca polverosa da cui distilla di volta in volta sigarette al mentolo, valige piene di perplessità e quanto occorre a vagheggiare un altrove, ora tra le nuvole del Messico ora tra i temporali della campagna astigiana, che infine si placa con un pò d’Africa in giardino o con un geranio e un balcone, trova uno stupefacente scioglimento nelle recenti realizzazioni pittoriche di Giuseppe Agozzino. Nella sua poetica mi pare si inveri compiutamente la cifra linguistica, il pittorico, che contraddistingue la particolare finezza espressiva del cantautore.
Nessuno può escludere che altre opere grafiche ispirate all’arte di Conte possano realizzare mirabili risultanze; è però improbabile che, seppure dovessero manifestarsi in maniera apprezzabile, realizzino, come Agozzino, una prossimità mimetica così marcata. E ciò, non tanto per la conduzione degli strumenti espressivi, quanto, soprattutto, per l’intuizione, la comprensione dell’anima dell’opera di Conte. La scelta cromatica, l’equilibrio combinatorio dei volumi degli oggetti-simbolo dell’universo poetico di quest’ultimo, sono stati assunti da Giuseppe Agozzino per plasmare con esuberanza e ironia quella materia creativa così vicina al genio di Paolo Conte, alle sue nuvole, alle sue piogge.
- a fine maggio, presso Attico d’Arte al Viale della Vittoria, verranno esposte le opere più recenti di Agozzino ispirate alle canzoni di Paolo Conte