di Davide Natale
Le brutture non sempre sono eliminabili dalla nostra vista. Talvolta, nell’attesa di una soluzione definitiva, che non è certo tra l’altro sia sempre possibile, è necessario nasconderle, mascherarle per rendere un contesto molto meno sgradevole. E ciò credo sia valido per svariate categorie, ambiti, luoghi dell’animo o città reali, per piccoli o grandi accadimenti quotidiani, quasi impercettibili particolari che posseggono invece una forza inaspettata, sorprendente proprio perché non denunciata dalla loro reale grandezza.
Ad Agrigento, ad esempio, insopportabili alla vista ho sempre trovato i recipienti idrici sopra i tetti dei palazzi. Se la loro eliminazione, nel brevissimo periodo, non sembra purtroppo possibile se non dopo la realizzazione radicale della nuova gestione idrica cittadina, sarebbe allora opportuno iniziare a ragionare su come mascherarli, nasconderli alla vista di chi, dai molti angoli della città vecchia, osserva la valle e il mare o da chi, al contrario, osserva dalla Valle la Città mirando, oltre ai noti ‘Tolli’ di cui a breve dirò, anche i ‘tollini’ (mi sia concesso questo orrido neologismo) in plastica blu o grigia collocati a centinaia sopra i tetti dei palazzi. Perché non considerare necessaria una misura di decoro urbano di immediata realizzazione, che l’auspicata attesa di un progetto che nasca dalla risoluzione definitiva non cristallizzi questo presente, eternandolo, costringendo ancora una volta alla bellezza ad abdicare a vantaggio della necessità?
È qui che si impantana però l’antico dibattito sulla città, sulla sua scriteriata urbanistica, e sulla opportunità o meno, ad esempio, di demolire i cosiddetti ‘Tolli’ di cui sopra. Condivisibile o no che sia (al netto della fattibilità tecnica), questo è uno dei temi che ha diviso molti cittadini, quasi schierati in due fazioni di visioni inconciliabili, ma di certo accomunate dall’assenza di un risultato concreto. ‘Tolli’ che, indubbiamente, anche intrinsecamente appaiono del tutto sgradevoli, indipendentemente dalla loro distonica presenza sul perimetro della città antica di Girgenti. Sgradevoli sarebbero pur sempre stati, insomma, in qualsivoglia contesto urbanistico.
Osserva in questi giorni Tano Siracusa – ‘Ciò che vediamo nel cerchio delle ripetizioni a poco a poco scompare, oppure rimane percepito come sfondo oggettivo, ovvio e immodificabile: ‘naturale’ appunto. L’abitudine rende pressoché invisibili anche le meraviglie e gli orrori.’
Dispiega molta verità tale affermazione. Se ci attardiamo, ad esempio, anche per pochi istanti ‘fuori dal cerchio delle ripetizioni’ a osservare alcune vie, centrali o periferiche, della città non possiamo non giudicare quanto veramente brutte siano la via Imera, la via Manzoni, la via Callicratide, la via Gioeni e molte altre vie cittadine. Edilizia a carattere residenziale di grandi condomini edificati negli ultimi decenni del secolo scorso, sulla logica del massimo guadagno con il minore degli sforzi, senza alcun pregio architettonico o urbanistico, solcati da un fiume di asfalto sul quale le automobili transitano a doppio senso di marcia e sostano in doppia o tripla fila.
Ma deve poter entrare qualcosa dal di fuori del cerchio delle abitudini, e oggi i visitatori e i turisti che in città passano, più o meno veloci, forse rappresentano, in un rimando platonico, quel qualcuno che rientra nella caverna e ci dice come e cosa fare, quali le ombre e quali no. Ecco allora i turisti e questa comunità di abitanti che dovrà ora abituarsi a riconoscere lo ‘sguardo ammirato e sgomento dei visitatori’.
Si può far qualcosa per mitigare tanta bruttura? Forse. Ricollocando, ad esempio, il nostro sguardo anche in quell’altrove da cui provengono i nostri visitatori, e copiando quel che decenni addietro è già stato realizzato. Se prendiamo nuovamente la via Imera ad esempio, si può ipotizzare di restringere la carreggiata ad una sola corsia di marcia per le automobili (qualche decennio addietro il cosiddetto raddoppio della via Imera ha istituito un anello stradale che potrebbe essere quindi percorso a senso unico), e recuperare così lo spazio per i camminamenti pedonali, a tratti inesistenti, e iniziare immediatamente una necessaria piantumazione di alberi che nascondano l’edilizia povera che vi incombe. Si consentirebbe, tra l’atro, una normale attività ad oggi negata in molte strade cittadine, ovvero quella di poter passeggiare, giocare, sostare e incontrarsi non scansando automobili e all’ombra naturale di alberi. E procedere così, con le dovute correzioni e i necessari adattamenti, per il più ampio numero di vie cittadine.
Necessita però, per tutto questo, una robusta, ma pur fattibile, revisione del piano di mobilità, senza il quale nulla può divenire. È fondamentale una revisione dei doppi sensi di marcia a favore dei sensi unici, dei percorsi principali e degli alternativi, delle aree di sosta, dei divieti di transito non soltanto in centro storico, e rischiando perché no, laddove possibile, l’abbrivio di soluzioni del tutto inaspettate. Una complessiva, radicale, del tutto nuova gestione del traffico veicolare che miri ad aumentare quanto più possibile la realizzazione o l’ampliamento dei marciapiede, riducendo il doppio senso di marcia per le automobili e piantumando quanta più vegetazione possibile (e non certo come realizzato a piazza Ravanusella, ultimamente ridisegnata, dove un solo e tristissimo albero posa sperduto tra un deserto di mattoni intorno).
Agrigento quale capitale della cultura 2025, se vuole evitare ai visitatori lo sgomento del presente, rimandi almeno al tentativo futuro l’aver meritato di essere una capitale culturale, senza infingimenti e senza inganni, nel voler provare a divenire paradigma di inversione, di innovazione e di sperimentazione.