L’inizio dell’800 fu un periodo molto ricco di interesse per l’antichità e la cultura classica. Era l’epoca del Grand Tour: un lungo viaggio intrapreso dai rampolli dell’aristocrazia europea finalizzato a perfezionare il loro sapere. Durava diversi anni e di solito aveva come destinazione l’Italia e, non di rado, molti intellettuali e artisti, attratti dal mito della Magna Grecia e dall’amore per la civiltà greco-romana, si spinsero nel sud della penisola, arrivando anche ad apprezzare le bellezze di Girgenti. Allora la tutela dei beni culturali era affidata ad una commissione regionale che aveva sede in Palermo e si apprestava ad avviare i primi scavi nella valle dei templi: è del 1836 l’esplorazione della zona del tempio dei Dioscuri e il suo restauro ad opera di Raffaello Politi. Grazie all’attività guidata dalla commissione, in poco tempo si venne a creare una cospicua collezione di reperti archeologici che, in mancanza di una struttura adeguata alla loro tutela e fruizione, furono affidati al museo di Palermo. Tutt’ora un buon numero di vasi attici e di terrecotte figurate, provenienti dall’antico sito di Akragas, sono in mostra nel museo archeologico Antonino Salinas. Il primo a sostenere la necessità che a Girgenti si istituisse un museo, fu lo storico Giuseppe Picone, autore della monumentale opera Memorie storiche agrigentine. La proposta venne raccolta dal consiglio comunale della città che nel 1863 stanziò un fondo di 382 lire per la creazione del museo cittadino. La fondazione avvenne concretamente un anno dopo con l’assegnazione temporanea di una sede nei locali dell’ex convento di S. Francesco d’Assisi. Il Picone, che ne fu il primo direttore, svolse un’opera proficua di raccolta di opere offerte da varie famiglie cittadine e, soprattutto, recuperando una parte della immensa quantità di reperti archeologici affiorati in seguito agli scavi necessari per la costruzione della ferrovia per Porto Empedocle, il cui tracciato attraversa la zona archeologica. Nel 1876 il museo venne trasferito nel piano terra del Palazzo Comunale e accrebbe costantemente la sua dotazione di opere, grazie a donazioni private e a recuperi di materiale sottratto dai tombaroli attraverso scavi abusivi delle necropoli. Nel 1900 il museo si trasferisce in quella che sarà la sua sede per circa 70 anni. Si tratta dei locali messi a disposizione dal Municipio in un edificio di proprietà sulla vicina piazza S. Sebastiano, successivamente ribattezzata piazza Giuseppe Sinatra. In quei locali, cui si sono aggiunti nel tempo altri piani nello stesso edificio con un nuovo ingresso più elegante dalla piazza del Municipio, oggi piazza Pirandello, il museo è rimasto e si è sviluppato fino al 1967.
Intanto, fin dal 1900, grazie all’illustre cittadino Nicolò Gallo, ministro della pubblica istruzione del regno d’Italia, si pose il tema della istituzione di un Ufficio dei Monumenti in città e della nazionalizzazione del museo civico, in modo da conferirgli risorse e visibilità adeguata. Ma la successiva ispezione guidata dall’insigne archeologo Paolo Orsi, sovrintendente alle antichità della Sicilia, trovandosi di fronte a locali umidi, con poca luce e di dimensioni limitate, valutò la struttura assolutamente inadatta alle necessità di un istituto di carattere nazionale. La svolta nel destino del museo civico avviene nel 1926, quando diviene assessore per la pubblica istruzione il prof. Francesco Sinatra (fratello di quel Giuseppe Sinatra che negli anni successivi avrebbe fatto donazione al museo di una pregiatissima collezione di oltre 100 dipinti di pittori dell’800, con quadri di Francesco Lojacono, Francesco Camarda, Salvatore Marchesi, Mario Mirabella ed altri) che nominerà direttore del museo il prof. Giovanni Zirretta, insegnate di storia dell’arte del liceo Empedocle. L’azione congiunta del Sinatra e dello Zirretta, affiancata da quell’intellettuale gentiluomo e mecenate di Alexander Hardcastle, che mise il suo cospicuo patrimonio a disposizione degli studi e della valorizzazione della valle dei templi e dei tesori dell’età classica in essa contenuti, rappresentò un salto di qualità notevole per il museo. Grazie al contributo di 75.000 lire versato da Hardcastle, nel 1927 i locali del museo vennero risanati e venne allestita una prima decorosa esposizione delle opere raccolte in diciotto luminose sale disposte su tre piani. Resi adeguati gli ambienti museali, su pressione del duo Sinatra-Zirretta, il ministero della pubblica istruzione dispose che i reperti recuperati con gli scavi nella valle dei templi (finanziati sempre da Hardcastle e diretti dal giovane e valente archeologo Pirro Marconi) venissero lasciati nella disponibilità del museo cittadino. Verranno così acquisiti materiali di grandissimo interesse storico e artistico, che costituiranno una delle più importati collezioni al mondo di reperti di epoca ellenistico-romana. Nel 1930, data l’accresciuta importanza degli scavi e degli studi scientifici che hanno per oggetto la valle dei templi, viene creata dall’Amministrazione della Belle Arti la Soprintendenza alle Antichità di Agrigento. Nel 1941 sarà soprintendente il giovane archeologo Pietro Griffò (quando la competenza della tutela delle aree archeologiche era affidata allo Stato, i soprintendenti erano archeologi. Oggi che la competenza è passata alla regione Sicilia, i soprintendenti molto spesso, chissà perché, sono dirigenti generici di vario tipo, senza alcuna competenza archeologica). Avrà il grave compito, nei decenni a venire, di tutelare la valle dei templi dalla bulimia cementizia degli agrigentini. L’obiettivo di trasformare il museo di Agrigento in un museo nazionale venne perseguito con tenacia dalla soprintendenza e dalla direzione del museo civico. Nel 1946 venne stipulata una convenzione tra il comune e il ministero per la fusione delle biblioteche dei due istituiti in un’unica biblioteca specializzata, intitolata all’archeologo Pirro Marconi, oggi ancora esistente. Nel 1954 si comincia a parlare della realizzazione di una nuova struttura che, per spazi e caratteristiche espositive, possa finalmente assumere la definizione di Museo Nazionale. In vista della realizzazione del progetto, Comune e Ministero firmano un impegno a trasferire le collezioni del museo civico nella nuova sede museale che sorgerà nella valle dei templi. Grazie ad un finanziamento del governo centrale, della regione Sicilia e della Cassa per il Mezzogiorno, nel 1967, a poco più di un secolo di distanza dalla nascita del museo civico, verrà inaugurato nel poggio di San Nicola, il museo nazionale archeologico di Agrigento, intestato all’archeologo e sovrintendete Pietro Griffo. Nel 1969 Verranno trasferite al museo Griffo tutte le collezioni archeologiche che erano ospitate dal museo cittadino di Piazza Pirandello. Il museo nazionale poi, in seguito al processo di decentramento delle funzioni amministrative dello Stato, negli anni ’70 verrà affidato alla gestione della regione Sicilia. Nella vecchia sede del museo civico resteranno la pinacoteca (di particolare pregio la galleria Sinatra); gli archivi di storia patria; l’archivio fotografico dei monumenti e delle opere d’arte della provincia, frutto di una pregevole mostra allestita nel 1958, con una grande valenza estetica e di testimonianza storica. Quest’ultimo archivio è frutto di una delle attività più meritorie del prof. Giovanni Zirretta.
Rimaneggiato in seguito alla cessione della collezione archeologica a favore del nuovo museo nazionale, si pose per il museo cittadino una nuova missione, individuata nella valorizzazione della pinacoteca, negli anni arricchita da donazioni private e da opere di pittori italiani e stranieri che hanno partecipato ad appositi premi banditi dai vari enti localmente preposti alle attività turistiche e culturali. Dovendo ristrutturare i locali, per rifunzionalizzarli al nuovo indirizzo espositivo, le opere verranno temporaneamente spostate: in un primo tempo nei locali dell’ex monastero di Santo Spirito; successivamente nelle sale dell’ex collegio dei padri filippini. (Tralascio in questa sede di trattare del modo, a dir poco indecoroso, in cui sono state abbandonate le opere negli ultimi lustri. Da salvare solo la ragionata esposizione delle opere di Francesco Lojacono e di Raffaello Politi studiata dall’ex soprintendente Gabriella Costantino).
Da allora, la ristrutturazione dei locali del museo civico di piazza Pirandello va avanti, oramai da oltre cinquant’anni, ma nonostante i proclami di vari sindaci, non sembra prossima la sua definizione. Trasferite le collezioni residue, il progetto di ristrutturazione tarda a venire e i lavori vanno avanti a singhiozzo e senza una logica precisa: segno di scarsa capacità di visione e di competenze amministrative approssimative, nonostante i tanti avvicendamenti alla guida degli assessorati deputati alla sua valorizzazione. Dopo anni di abbandono (la struttura sembra non interessare nessuno: è semplicemente scordata) è grazie alla nomina di Settimio Biondi nella giunta del sindaco Marco Zambuto che il tema della ristrutturazione del vecchio museo viene ripreso. Biondi, in precedenza, nella qualità di Direttore del museo ne ha costituito una sezione etno–antropologica, recuperando dall’abbandono preziosi cimeli della cultura contadina. Rilevante anche la sua attività di riordino del gabinetto fotografico, fondato dal prof. Giovanni Zirretta, e dell’Archivio storico comunale. L’esperienza amministrativa di Settimio Biondi, però, dura poco: le sue qualità culturali e le competenze amministrative non rilevano di fronte alle esigenze di spartizione partitica. La questione del museo civico torna nel dimenticatoio. Invero, la giunta Zambuto aveva presentato un progetto di recupero della struttura, ma il progetto non era stato ammesso dalla regione ai finanziamenti del “Piano Operativo del Fondo Sociale Europeo di Sviluppo Regionale 2007-2013”. Il comune, però, dispone di un finanziamento di un milione di euro, ottenuto ai sensi della legge regionale n. 16 del 2011, che è destinato al recupero di edifici monumentali inseriti nel piano particolareggiato del Centro Storico. Non essendo la cifra del finanziamento sufficiente al completamento di tutti i lavori necessari e alla messa in esercizio del museo, nel 2012 la fondazione Agireinsieme, fondata dall’imprenditore Salvatore Moncada, si offre di intervenire per integrare, eventualmente in collaborazione con altri imprenditori locali, la somma mancante. L’offerta non verrà accolta, forse perché in quel momento Salvatore Moncada, animato da uno spirito di rinnovamento della politica e delle istituzioni cittadine, aveva manifestato il proposito di partecipare alla successiva elezione a sindaco. I capibastone della città avranno pensato che potesse essere rischioso agevolare l’ascesa di un protagonismo esterno al sistema dei partiti. Quindi, niente collaborazione e ritiro, prim’ancora di cominciare, di Salvatore Moncada dalla corsa a sindaco. Il museo può attendere ancora. Prima di uscire di scena, il sindaco Marco Zambuto riesce nel 2013 a far inserire il progetto di ristrutturazione del museo nell’ Agenda Urbana del “Piano Operativo del Fondo Sociale Europeo di Sviluppo Regionale 2014-2020”.
Dimessosi Zambuto, il commissario nominato dalla regione si limita solo all’ordinaria amministrazione e non si interessa minimamente all’utilizzo dei finanziamenti disponibili per il museo civico. Nel 2015 arriva Lillo Firetto che dopo un paio di anni si accorge (perché qualcuno glielo segnala) di avere nel cassetto un progetto esecutivo e finanziato. Nel gennaio del 2018 l’annuncio in pompa magna che il nuovo museo verrà inaugurato entro 11 mesi e sarà pronto per i festeggiamenti indetti in occasione dei 2.600 anni dalla fondazione di Akragas: “le opere di recupero verranno definite in ogni dettaglio con il restauro dei valori storico-architettonici e l’adattamento delle strutture alle più moderne esigenze di un museo”. Nel febbraio 2020, con il museo ancora chiuso, sempre Lillo Firetto assicura una seconda volta che “entro la prossima estate verrà consegnato alla città”. Purtroppo, il museo non è stato aperto neanche in questa occasione e, passato Firetto, è arrivato Franco Micciché. Nel suo programma il nuovo sindaco aveva annunciato come prioritario il monitoraggio delle opere incompiute per una loro rapida definizione. Ma, si sa, i programmi politici sono solo specchietti per le allodole, la realtà è ben diversa. Il buon (?) Miccichè si è fatto prendere la mano con il continuo cambio di assessori, i concorsi e gli acquisti farlocchi ed è stato distratto da altri temi. Evidentemente, le priorità sue e del suo sponsor sono diverse, rispetto all’esigenza di completamento del museo civico. Pertanto, a due anni e mezzo dall’insediamento, la giunta Miccichè non ha fatto un solo passo in avanti per riprendere la ristrutturazione dei locali di Piazza Pirandello. Il tema è stato riportato all’attenzione dell’amministrazione comunale il 21 aprile scorso dalla consigliera Roberta Zicari (onore al merito) in una interrogazione all’assessore Gerlando Principato, responsabile dell’edilizia pubblica e dei progetti di rigenerazione urbana. L’assessore, nel rispondere all’interrogazione sull’argomento, mostra un livello di impreparazione mortificante (il resoconto, in un italiano approssimativo, è reperibile sul sito del comune di Agrigento:CC_53_2023.pdf (comune.agrigento.it)). Gerlando Principato non è in grado di dire se l’immobile presenta problemi strutturali. Ecco le parole dell’assessore: Si scopre che al disotto di questo piano perfettamente realizzato e ben vestito, la struttura che compone il piano ci sono stati interventi che hanno sventrato nella sua totalità di interventi fatti su pilastri e travi che ad oggi non mettono in condizione, probabilmente, il piano di calpestio esistente, quella è una supposizione che sto facendo, ma la stiamo valutando adesso con uno studio di progettazione, perché se pensate che una struttura di un piano, ma tutta la struttura sia stata bucata interamente e siano stati fatti interventi invasivi ovviamente l’Amministrazione si pone il problema che se devo andare a buttare dentro delle persone devo essere certo che così anche gli uffici che effettivamente la struttura lo regga”. Infattivamente e senz’altramente è così, replicherebbe Cetto Laqualunque.
L’assessore parla anche del crollo di una parete del piano terra la cui causa è ancora da accertare. Il finanziamento dei lavori, però, è disponibile, ma il buon Principato non ricorda l’ammontare: che volete che sia, una quisquilia. Comunque, l’assessore è sicuro che entro l’anno tutto si risolverà e afferma di pensare già ai depliants da stampare e ai fotografi da ingaggiare (ma per quale lavoro?).
Che dire? Una prova lampante di improvvisazione e incompetenza al potere. Neanche l’ombra di uno scatto d’orgoglio, per essere pronti all’appuntamento del 2025, per onorare al meglio il titolo di Capitale italiana della cultura.
Il museo attende da mezzo secolo la riapertura e, molto probabilmente, dovrà attendere ancora per un bel pezzo. La città dovrebbe interrogarsi sul perché di tanta sciatteria. Magari così capirebbe cos’è successo negli ultimi decenni di storia, cosa s’è guastato nel trasferimento del testimone tra le generazioni, perché si passasse dai Giuseppe Picone, Francesco e Giuseppe Sinatra, Giovanni Zirretta, Nicolò Gallo, Pietro Griffo ai Roberto Di Mauro, Marco Zambuto, Lillo Firetto, Franco Miccichè e, dulcis in fundo, Gerlando Principato.