di Vito Bianco
Non so perché l’ho fatto. Diciamo che era un periodo un po’ così. Strano. Fiacco. Stimoli zero. Autostima uno virgola. In più con Rosalinda andava maluccio, c’era aria di prendiamoci una pausa di riflessione, non so se mi spiego, chi ci è passato capirà al volo. Insomma, girava male, in tutti i sensi. Così quando mi capitò sotto gli occhi quella pubblicità sul Messaggero, mi dissi che poteva essere un’occasione per rimettere in movimento le cose, che studiare una materia nuova non poteva che farmi bene, il resto si sarebbe visto con il tempo.
La materia nuova era, per dirla schietta, l’omicidio, per l’esattezza l’omicidio su commissione, e quel riquadro pubblicitario sul più importante quotidiano della capitale rendeva nota l’esistenza di una scuola che prometteva di fornire una preparazione di eccellenza in un ramo professionale in costante crescita. Il corso durava sei mesi, alla fine dei quali, dopo un colloquio con tutti i docenti della scuola, all’allievo veniva rilasciato un attestato di partecipazione con un giudizio sintetico e una descrizione psicoattitudinale che avrebbe facilitato la scelta del futuro datore di lavoro. C’era da pagare una quota di iscrizione di cinquanta euro e duecento euro al mese per cinque mesi. Avevo qualche soldo da parte e quel migliaio di euro era una spesa che potevo affrontare con una certa serenità.
A essere sincero io non avevo mai pensato all’omicidio nei termini di un possibile sbocco professionale, non tanto per ragioni morali, quanto per gli aspetti negativi connessi al tipo di lavoro. Fino a quel momento avevo preferito attività più tranquille, magari meno remunerative ma decisamente meno rischiose. Ma quella pubblicità mi sembrò una specie di segno del destino arrivato al momento giusto. Le cose non giravano, come ho detto, e in più avevo voglia di cambiare, di rimettermi in gioco: in fondo non avevo ancora cinquant’anni, e sentivo che il meglio per me doveva ancora venire.
Frequentai il corso con profitto. Seguendo le lezioni, teoriche e pratiche, scoprii di essere portato per alcune materie: psicologia, orientamento urbano, identificazione somatica, nelle quali ottenni i voti più alti, mentre nelle esercitazioni pratiche che richiedevano una certa forma fisica faticai non poco per raggiungere la sufficienza. Nel tiro sul bersaglio in movimento ottenni risultati francamente deludenti, ma l’insegnante mi disse, forse per consolarmi, che se mi fossi allenato con regolarità le mie prestazioni sarebbero senz’altro migliorate.
Feci un buon colloquio, mi diedero l’attestato con le firme di tutti i docenti e qualche giorno dopo inviai i miei dati e il diploma all’indirizzo di tre agenzie che la stessa scuola ci aveva fornito. Passò un mese. Una mattina di marzo ricevetti una breve lettera con cui mi si chiedeva se ero disponibile per un lavoro nel Canton Ticino da portare a termine entro la prima settimana di aprile. Il compenso era di…e le spese tutte a carico dell’anonimo committente.
Avevo aspettato con una certa trepidazione quella lettera, ma adesso che era arrivata non ero più così sicuro di voler cominciare. Forse non mi sentivo ancora pronto. Pensavo che per rompere il ghiaccio ci voleva un incarico di minore responsabilità, un affiancamento, un ruolo di supporto, insomma, una parte di secondo piano in un lavoro di cui fosse titolare un veterano del mestiere. Dopo tre quattro giorni di indecisione, di continui no sì no sì, accettai e partii per Lugano. L’uomo che dovevo far fuori era un sessantenne grasso e pelato, mi avevano fatto avere una fotografia presa di nascosto in cui lo si vedeva seduto nella terrazza di un caffè, del quale era un cliente abituale, accanto a una donna sui trent’anni con i capelli biondi a caschetto e gli occhiali da miope senza montatura.
Guardavo quel tizio nella foto e provavo a immaginare il momento in cui avrei premuto il grilletto della carabina di precisione che avevo comprato per corrispondenza in un negozio specializzato che fa parte di una catena presente in una ventina di paesi. Lo facevo, credo, per abituarmi all’idea, per farmi trovare pronto quando la realtà avrebbe sostituito la fantasia e lo sparo sarebbe diventato concreto e letale.
Fu quello che accadde a mezzogiorno di una domenica tiepida e senza vento e una luce ideale che arrivava dall’alto a far splendere le teste, i tavolini del caffè, i tetti metallici delle costose automobili, le cime dei tigli e l’acqua ferma del Ceresio.
Inquadrai il mio obiettivo e lo tenni fermo e a fuoco trattenendo il respiro.
Non potevo sbagliare: vedevo l’uomo così vicino da avere l’illusione di poterlo toccare. Portai il dito sul grilletto liscio e ricurvo e…Qualcuno, non se uomo o donna, e che probabilmente aveva fatto un corso simile al mio, sparò un colpo attutito dal silenziatore e io smisi di vedere il mio bersaglio nel mirino e caddi morto a bocca aperta emettendo un suono rauco di stupore.