di Andrea Gerlando Terrana
foto di Cate Fede
Sono sempre stato interessato al “cosa fa cosa?“. Circa la musica elettroacustica di cui mi preoccupo, questo pasticcio di parole può essere letto come ciò che “la macchina” fa ad un suono in ingresso. In termini generali quindi trovo una coerenza con la mia intenzione di immaginare cosa un oggetto comune possa fare in termini di suono, o forse anche musicali.
Da circa 10 anni trasloco portandomi dietro un’antenna televisiva, quella classica dell’immaginario comune (sui tetti di oggi vedo meno frequentemente il modello ad albero di pino a cui mi riferisco). In passato con la mia antenna ho sperimentato molto sul tetto della mia abitazione di Trapani in via Taranto (indirizzo appropriato a chi di cognome fa Terrana e che guida una vecchia R4 targata Terni. Altra storia). In quell’abitazione ero sotto il Monte Erice, e mi recavo sul tetto per sperimentare e registrare i suoni dell’antenna. Questa era custodita gelosamente in casa, nello studio, tra altri “strumenti musicali”. La “preparavo” con molta cura, applicando alle sue 32 barrette orizzontali graffette per ufficio, pezzi di carta e cartoncini colorati , mollette da bucato miniaturizzate, ma soprattutto una cartolina dell’Hotel Ermione, che svetta in cima al Monte. La foto lo ritraeva ai tempi d’oro, prima di divenire incantevole luogo del degrado, parallelo e opposto contemporaneo della città medievale appena più in alto. Se il vento che mi spingeva ad andare in terrazza avrebbe avuto la forza corretta, i piccoli oggetti avrebbero fatto risuonale il mio inno alla maestosità Monte, all’antico dell’oggi, al moderno trapassato.
Nel mio ultimo trasferimento ad Aragona, con me è arrivata anche l’antenna che da qualche tempo ho ripreso a visitare. L’intenzione di quando venne acquistata non era di lasciarla al vento ma di suonarla. Cosa fa cosa? Comincio a provare, percuotere, “preparare” il mio strumento, che è leggero ma ingombrante, che non riesce agevolmente a stare in piedi, ad essere maneggiato. Provo in qualche modo ad intonare, di rimanere bilanciato in una zona di equilibrata discordanza. L’obiettivo non è di riuscire a rendere un suono ideale, da strumento musicale, ma di ottenere uno “strumento” la cui voce propria possa emergere, riscattarsi, divenire da oggetto atto alla ricezione, immobile e trasparente, oggetto di trasmissione d’intenzioni sonore. Applico un microfono piezoelettrico con circuito di pre-amplificazione, una corda di chitarra con due ponticelli mobili tesa sull’asse verticale. Le piccole mollette applicate alle barrette adesso servono ad intonare e smorzare il suono. Costruisco due leggerissime bacchette, quasi fil di ferro, cui applico piccoli tubolari in gomma. Sembra funzionare. Provo anche due grandi penne di tacchino, il mio Sergio, sciamano del pollaio che danza. Poi l’elettronica, un concetto prima ancora che uno strumento. M’immergo nel timbro per ore, tutti i giorni. Lo abito. Suono. Registro. Destino a You Tube, per restituire, per riascoltare.
Titolo tutto ciò che sarà realizzato con questo sistema:
“The Well-Tuned Antenna”. Giovanni Sebastiano Bach, La Monte Young, John Cage con tutto l’oriente. Un gioco di parole che restituisce “ben accordata” come anche “ben sintonizzata”.
Il 26 luglio 2023 porterò l’antenna a Favara, a palazzo Cafisi, per una performance voluta dai ragazzi di DOT – Festival di Arti Contemporanee.