di Vincenzo Miceli
La mia vita si apriva in una via con donne di casa ai balconi e tappeti su inferriate, mentre un uomo su una macchina scassata ripeteva strane formule per vendere le uova. Era tutto già asfaltato, marciapiedi striminziti, ma un bimbo ha la campagna dentro gli occhi. Non parla ma soffia sui petali. *
Ai piedi dei tralicci
camminavamo tra l’acetosella,
ronzavano le api accordate
ai cavi dell’alta tensione.
Mi accompagnavi alle soglie di un’epoca
in cui i favi si accendono d’oro
nel prodigio dei pixel
e muoiono i supereroi
nella vergogna delle calzamaglie.
*
Gli assassini sbucciavano i mesi per mangiare il tempo degli uomini quando i padri ci misero al mondo. Sui marciapiedi si lavava il sangue di una generazione mai invecchiata. L'ultima volta? Non so ricordare; fui costretto a spillarmi sugli occhi la benda del rifiuto. Quando il tempo era intero e senza numeri i padri non erano in casa, disertavano l'amore. * Mi parli di una donna andata via con i suoi anni, la senti per le scale, un saliscendi di giorni, la vedi lì aggricciata sull'ingresso a tenere in quelle sue quattr'ossa l'innocenza ragnata... e ti parlo di come le cose stanno dentro le geografie delle nostre vite, una riga sul muro rimasta uguale a svelare che siamo noi gli scomparsi. * Le strade sono levigate a sangue, si stende sulle case lo scirocco. Un bubbolio di spettri dalla rete ferroviaria abbandonata fino ai palazzi di cemento armato, tra i cumuli di spazzatura, tra l'afrore dei tombini e le vie che hanno perduto i ragazzi, le loro firme fatte con lo spray e i pochi occhi callosi di dolore, qualcuno ritornato a guardare i passi. Porto Empedocle è sciolta verso il mare col suo fiato di gigante e tutti i giorni e la gente che ho amato, una memoria destinata a chiudersi nella gabbia di pochi versi crudi.
Immagine: dipinto di Mario Sironi