di Giacomo La Russa
Occorre sgombrare definitivamente il campo dall’idealismo e dallo stesso comune sentire.
Il carattere e, soprattutto, il comportamento umano trovano solo in parte la loro radice
nell’educazione e nella formazione.
Liberiamoci da schemi antiquati. Mettiamo tra parentesi l’idea che certi comportamenti
problematici o disfunzionali siano il risultato del discostamento dai valori morali o si risolvano nel
mero rifiuto delle regole o costituiscano una pura devianza antropologica.
No – ha spiegato con forza Fausto D’Alessandro nel corso del suo intervento di ieri, 24 aprile, al
convegno dal titolo ‘Violenza di genere’ tenutosi al Museo Archeologico di Agrigento -, non si tratta
di una questione etica o di un fallimento pedagogico o di un discostamento valoriale.
L’origine di certi comportamenti problematici o disfunzionali, come quello che può dare luogo alla
violenza sessuale, va essenzialmente rintracciata nel temperamento, ossia nel substrato cerebrale e
neurobiologico della mente.
Richiamandosi a Pirrone e Husserl e al loro concetto di epoché (ossia, di sospensione del giudizio) e
illustrando, anche attraverso la proiezione di molteplici diapositive, la struttura di personalità
secondo la teoria psicoanalitica di Otto Kernberg (lo psichiatra statunitense di origine austriaca,
autore di fondamentali studi in materia), il dottor D’Alessandro ha descritto la piattaforma
personologica di chi, in condizioni di particolare stress e insieme a una forte propensione
all’aggressività, potrebbe dare vita, nell’ambito di una relazione affettiva, a una violenza sessuale.
Non esiste, insomma, come siamo abituati a pensare, separazione tra mente e corpo, tra anima e
materia. Tutto è riconducibile al cervello. Non solo le funzioni cognitive, affettive, emotive, l’esame
di realtà o il linguaggio ma lo stesso comportamento umano ha una base cerebrale. Agiamo in un
certo modo, ci rappresentiamo le cose in un certo modo, abbiamo certi impulsi perché è il nostro
cervello a guidarci in quella direzione.
La violenza sessuale o qualunque altra azione prevaricatrice sono il frutto di una compromissione
cerebrale, affondano le radici nel disturbo di personalità, nella malattia mentale.
Ecco perché -ha detto ancora D’Alessandro-, per il nostro benessere, non è sufficiente la
conoscenza di se stessi, il gnòthi seautòn dei greci, ma è necessario soprattutto conoscere gli altri, le
persone con cui entriamo in relazione.
La malattia mentale è spesso invisibile, può essere camuffata salvo poi esplodere, proprio perché si
annida nel nostro cervello, in maniera irrefrenabile.
Ma quella che è parsa una vera lectio magistralis non si è fermata qui.
Il temperamento, questo substrato cerebrale e neurobiologico della mente, in grado di orientarci in
senso amoroso o in senso aggressivo, ha anche a che fare con l’ambiente esterno nel senso che esso
si forma, soprattutto durante la prima infanzia, anche sulla base delle esperienze e delle emozioni
provenienti dall’esterno.
Esiste quindi una sorta di struttura intrapsichica superiore costituita dall’interiorizzazione di tutti
quei dati (culturali, etici, morali, interpersonali, ossia frutto delle relazioni con la madre, il padre, i
germani, la baby-sitter, ecc…) che, soprattutto nella prima infanzia, segnano ogni individuo e
finiscono con l’entrare anch’essi a far parte della sua realtà cerebrale.
In questo senso può dirsi che il carattere -che è ciò che appare dell’individuo e che guida il nostro
comportamento nelle varie situazioni in cui l’esistenza ci proietta- altro non è che la risultante, fino
a costituire un unicum psichico, dell’interazione tra il temperamento (il substrato cerebrale e
neurobiologico del cervello) e il sistema dei valori interiorizzati (tutto ciò che proviene
dall’esterno).
In altri termini -ha concluso il dottore D’Alessandro con la sua proverbiale lucidità-, anche alla base
della violenza sessuale, vi è il disturbo di personalità paranoide (le cui caratteristiche essenziali,
secondo il DSM V, sono la diffidenza e la sospettosità). Disturbo che, di natura organica e
neurobiologica, è in grado di stravolgere la nostra cognitività (ossia, i modi di percepire e
interpretare noi stessi, gli altri e gli avvenimenti), la nostra affettività (ossia, la varietà, l’intensità, la
labilità e l’adeguatezza della risposta emotiva), il nostro funzionamento interpersonale e lo stesso
nostro controllo degli impulsi.