di Tano Siracusa

foto di Evan Vucci

Sembra la sceneggiatura di un film mediocre, destinato non alle sale cinematografiche, troppo selettive e attente, ma alla sincopata multimedialità degli schermi tascabili, dei giornali on line, delle radio e dei social, del flusso di riprese, commenti, opinioni che costituiscono una specie di brusio di fondo, ubiquo, disperso e contrastante, confuso come la realtà mentre diviene, mentre accade.

Gli utenti di questo magma di immagini e parole sono mediamente distratti dalla realtà non virtuale in cui rimangono comunque immersi. Si trovano in un locale pubblico, a casa, mentre litigano a telefono, per strada, tutti scarsamente propensi a distinguere fra finzione, manipolazione intenzionale ed eventi realmente accaduti. Era così già prima dell’Intelligenza Artificiale.

Così c’ è di tutto, tutto quello che uno sceneggiatore mestierante può mettere dentro un docufilm fantapolitico che bada al sodo, alla spettacolarità, ai colpi di scena, e non importa se troppo inverosimili purchè facciano attrito e scintille. Un susseguirsi perciò di scenari da incubo: la Russia di Putin che invade l’Ucraina, i massacri di Hamas, il governo di Israele che bombarda i palestinesi a Gaza, la rincorsa generale al riarmo, i nuovi sovranismi, il gonfiarsi di una rabbia di destra, dittatori sparsi per il pianeta, minacce di guerra atomica, catastrofe climatica, e nella più grande democrazia liberale, gli Stati Uniti, un colpo di pistola andato a vuoto contro un quasi ottantenne golpista che sfida un uomo più anziano di lui e visibilmente incapace di governarsi. La notizia non è il morto e i feriti, ma la foto di Trump insanguinato, col pugno chiuso e la bandiera dietro che sventola. I corrispondenti scrivono articoli sulla foto iconica, sul fotogramma che alimenta le dietrologie dei complottisti. I giornalisti intervistano il fotografo.

Un romanziere come Phlip Roth avrebbe di sicuro inventato di meglio. Non di meno catastrofico (era pessimista, aveva previsto l’attuale disastro e il rischio fatale di Israele) o di meno inverosimile, ma certamente di più credibile per quella capacità mimetica che hanno solo i grandi scrittori di farsi altro, rendendo umanamente comprensibile anche il delirio di un folle, un terrorista, un capo di stato massacratore, di un paranoico complottista. Le notti insonni degli uomini del potere, la distruttiva razionalità dei militari, i calcoli di un martire, la lucida demenza di chi comanda, l’impotente, alcolico vaniloquio di un elettore.

Per chi gode del privilegio della pace e di una sia pure sgangherata democrazia, assistere alla sceneggiatura dell’attuale disastro sollecita un continuo esercizio di incredulità, forse per una reazione istintiva di difesa. Come se ciò che si vede e si ascolta sugli schermi più che appartenere a un’altra realtà, seppure non vicina, fosse davvero la mediocre sceneggiatura di una finzione. Bastano, c’è chi dice, i guai e le incombenze quotidiane, il caldo che fa, l’acqua che manca, il lavoro sottopagato. E ogni tanto una festa, una Madonna, un Santo a cui raccomandarsi.

Di Bac Bac