di Adele Mondrini

Lo chiamava Mosca da quando era riuscita a nominare quella sfuggente somiglianza. Ma come può una persona somigliare a una mosca? le chiedevo.
A un moscone diceva Helen, perché a ben guardare il panettiere era un ometto pieno di peli neri che dalle orecchie si inerpicavano come da un buio cunicolo diradandosi un po’ sugli zigomi e tornando subito a infittirsi nella compatta barba vellutata. Si muoveva a scatti, a saltelli, a piroette, e quando parlava non separava le parole della sua lingua pressoché indecifrabile, almeno per degli stranieri come noi: ecco, sussurrava Helen, quel suono grave, a tratti sibilante, faceva pensare al ronzio di un moscone.
Ma si parlavano anche altre lingue. Ogni tanto il panettiere e i suoi clienti imitavano il cinguettio delle rondini azzurre che popolano la città e abitano i tetti di Apuniachin. Le mosche come si sa, spiegava Helen che pretendeva già di capire qualcosa della loro lingua, le temono.
Eravamo arrivati da poco in quella città remota, dai confini incerti, e avevamo occupato un appartamento disabitato e sommariamente ammobiliato, il cui ingresso si apriva accanto al negozietto di Mosca.
Dopo un paio di mesi Helen credeva di riuscire a decifrare la loro lingua, almeno così affermava, mentre io non ero capace di riferire le parole del piccolo vocabolario che lei aveva acquistato da un rigattiere a quei suoni sibilanti, a volte striduli, a volte ronzanti; aerei, inafferrabili come le creature che da cui erano emanati.
Non capivo quasi niente, per strada non sentivo parole ma suoni, e non credevo a Helen. Non le ho quasi mai creduto.
Neppure quando una sera mi ha detto costernata che Mosca era stato mangiato da una rondine azzurra. Un’incursione imprevista, raccontava Helen impastando le parole, una vera disgrazia, non si parla d’altro diceva. Non le avevo creduto neppure quella volta, non le credevo più. E poi è passato un anno.


Del panettiere ormai non si ricorda più nessuno. Ora nel suo piccolo negozio c’è una donna sottile, giallognola e iraconda, con due grandi occhi sporgenti. Vende frutta marcia e miele, spostandosi da un’estremità all’altra del locale con la velocità di un insetto. Quasi tutti i clienti le somigliano.
Helen, che ormai sta più fuori a chiacchierare con gli sfaccendati che dentro casa a farmi compagnia, chiama la proprietaria Vespa e racconta che il suo negozio è un covo di creature litigiose e vendicative, raccomandandomi di starne alla larga.

Non le credo e sempre meno la capisco, pronuncia da tempo le parole mescolandole ai suoni di quella lingua incomprensibile, e c’è una specie di ronzio fra le brevi pause delle frasi storpiate.
Non le do retta, e quasi non esco più.
Se puoi, ho scritto ad Adele, vienimi a prendere. Portami via.

…………………………………………………………………………………………..

Immagine: Giuseppe Agozzino

Di Bac Bac