Nei prossimi mesi si celebrerà il congresso del Partito Democratico siciliano. Si sarebbe potuto celebrarlo già lo scorso anno contestualmente al congresso nazionale. L’occasione era importante, vista la ventata di rinnovamento che ha caratterizzato la candidatura di Elly Schlein alla segreteria del partito, tanto che si è parlato, forse con troppa enfasi, di congresso costituente. Ma allora, probabilmente per quieto vivere, si decise che non era il caso di impegnare il partito in un serrato dibattito sulle ragioni costitutive della nostra comunità, sul superamento delle deleterie logiche di corrente e sulla ridefinizione di un programma di governo realmente alternativo alle logiche di potere della destra.
Pertanto, in questi due anni il partito ha vivacchiato di luce riflessa, appropriandosi di una svolta politica nazionale che, nei fatti, non gli è mai appartenuta e che nella pratica politica locale è stata spesso disconosciuta.
Se l’esperienza della Schlein ci parla di rinnovamento, di rilancio della partecipazione dei militanti, di centralità dell’attività dei circoli rispetto alle logiche di corrente, di trasparenza nelle decisioni, di distinzione netta delle responsabilità di chi governa da quelle delle opposizioni (per capirci: niente più politiche consociative per accapparrarsi qualche pezzo di potere; niente più lottizzazioni degli enti pubblici; niente più clientele; etc..) la politica siciliana del partito ha assunto spesso connotati diversi, in qualche caso decisamente contrapposti.
Così può succedere che molti circoli siano ricchi di iscritti, ma poveri di attività politica e presenza sul territorio. A volte si animano solo in occasione della venuta dell’onorevole di riferimento, in coincidenza con le varie elezioni. Chissà perché nessuno ha mai pensato in questi anni di indire una conferenza regionale di organizzazione, per capire meglio la situazione di difficoltà del partito.
Capita spesso che negli enti pubblici e nelle società controllate anche i dirigenti del partito partecipino alla lottizzazione dei posti di lavoro, per collocare parenti o creare clientele personali. Il fatto, anche quando è di dominio pubblico (magari denunciato con enfasi dalla stampa) non sembra creare alcun disagio all’interno della nostra classe dirigente regionale, che preferisce ignorare queste vicende, come se fossero irrilevanti e non riguardassero, invece, quella “questione morale” di berlingueriana memoria che dovrebbe essere il fondamento primario della nostra comunità. Se l’immagine di Berlinguer giganteggia nelle nostre tessere del 2024, non è certo per puro caso.
Ma fatti politicamente discutibili hanno purtroppo innervato anche la vita istituzionale del partito. È prassi consolidata all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana quella di assegnare ad ogni legge di bilancio una disponibilità personale ad ogni deputato, per interventi meramente discrezionali. Lo scopo chiaramente è quello di consentire ad ogni parlamentare di usufruire di risorse pubbliche da destinare alla sua provincia, per agevolarlo nelle relazioni con il proprio elettorato. Insomma, una forma di clientelismo istituzionalizzato con tanto di manuale cencelli per suddividere i fondi tra maggioranza e opposizione. Quest’anno, per esempio, ogni deputato dell’opposizione ha avuto a disposizione per i propri interventi 650.000 euro, mentre a quelli di maggioranza è stato riconosciuto un appannaggio pari a circa un milione di euro, per un totale di 70 milioni di euro. Ne vien fuori un florilegio di finanziamenti a sagre paesane, a pseudo circoli culturali, a bande musicali, a strade e stradine, a società private ed altro ancora.
Arrivando anche allo scandalo di dare un contributo di 300.000 euro alla società privata Trapani calcio, della quale è consulente legale lo studio in cui lavora il figlio del presidente della regione Renato Schifani: una vera porcheria, soprattutto in un momento come questo in cui mancano fondi per affrontare la drammatica crisi idrica dell’isola. In molti casi le scelte dei singoli deputati hanno anche una finalità condivisibile, ma resta il fatto che si tratta di risorse pubbliche distribuite – in un momento di ristrettezze di bilancio – senza alcuna visione programmatica, al solo fine di beneficiare le pubbliche relazioni degli onorevoli. Un modo feudale di gestione del denaro pubblico che il gruppo parlamentare del PD non solo non ha contrastato, ma ha pienamente condiviso.
Una vicenda come questa segna anche un preoccupante fenomeno di scollamento tra la struttura politica del partito e la sua rappresentanza istituzionale, che spesso sembra agire come una formazione a sé stante, con una sua impostazione politica slegata dai centri decisionali statutari di partito.
Un esempio lampante in questo senso è l’annuncio, risalente a qualche mese fa, con il quale il capogruppo all’ARS ipotizzava un accordo alla prossima scadenza elettorale con il “Movimento 5 Stelle” e il partito “Sud chiama Nord”, al di fuori da ogni precedente condivisione politica con la direzione del partito.
Ecco, queste sono pratiche politiche inaccettabili, che lo spirito del nuovo partito dovrebbe contrastare, se vogliamo costruire, per dirla con una battuta felice di un dirigente nazionale, un partito costituzionale e non istituzionale. Cioè, un partito che ha la sua ragion d’essere nei valori della costituzione – libertà, uguaglianza, solidarietà – ma che non si esaurisce nella sua proiezione istituzionale. Insomma, no al partito dei parlamentari, dei sindaci e degli assessori, per dare spazio alla militanza di tutti, al dibattito dei circoli e al confronto con tutta quell’area composita di movimenti civici (circoli culturali, associazioni ambientaliste, gruppi di volontariato, comitati cittadini, centri sociali) che danno linfa alla nostra speranza di cambiamento.
Riepilogando: siamo di fronte ad un partito con una scarsa partecipazione degli iscritti, che va avanti stancamente con poco entusiasmo; con circoli che in molti casi si riducono a comitati elettorali al servizio del capocorrente; ad un partito che non ha disdegnato accordi per la gestione di pezzi di potere, al centro come in periferia; all’assenza di una chiara strategia riformista che faccia del PD il perno di una alleanza per il rinnovamento della politica e della classe dirigente isolana.
Fortunatamente, accanto a queste debolezze il partito presenta al suo interno intelligenze, visioni, competenze, passioni civili che, se valorizzate adeguatamente, sarebbero in grado di rifondarlo e farne il cardine di un grande progetto di cambiamento della società siciliana. Si può contare su personalità di primo piano, alcune di lungo corso altre di recente adesione, che incarnano perfettamente l’idea dell’intellettuale gramsciano, per la loro capacità di accompagnare ad un eccellente bagaglio culturale una grande esperienza e competenza nel governare la cosa pubblica.
Si potrebbero elencare diversi nomi, emblematici di una comunità che non vuole rassegnarsi alla mediocrità di certe carriere, alla decadenza del senso morale in politica, alla mancanza di una visione alta che sia degna del nostro pantheon, in cui abbiamo collocato con gratitudine e affetto Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Abbiamo il dovere di costruire un partito che sia degno del loro esempio.
Possiamo farlo, ma è necessario che il prossimo sia veramente un “congresso costituente” che segni una forte discontinuità con il passato, che ridefinisca valori e pratiche politiche, che discuta veramente e senza preclusioni di tutto ciò che nel partito non va e che, soprattutto, non può più essere accettato. Bisogna dire la verità sui limiti e gli errori, personali e collettivi, che hanno caratterizzato il PD in Sicilia in questi anni.
Possiamo farlo, purché non sia un congresso tra correnti contrapposte. La contrapposizione ci deve essere, perché è il motore di ogni cambiamento, ma va realizzata tra chi è abbarbicato nella conservazione del vecchio partito e chi vuole un partito diverso che respiri l’aria fresca portata da Elly Schlein.
“Andare avanti con determinazione, slancio, audacia.
Non da utopisti che inseguono chimere
o da schematici che si abbarbicano ai testi;
non da estremisti che si lanciano in velleitarie fughe in avanti,
ma neppure da opportunisti che si acconciano al presente,
naviganti di piccolo cabotaggio che seguono il tracciato delle coste;
noi vogliamo affrontare le sconfinate distese del mare aperto
per approdare ad una nuova società a misura dell’uomo”.
Enrico Berlinguer
(Discorso ai giovani, Milano, giugno 1976)