Nell’assemblea della direzione nazionale, convocata per conferirle l’incarico di segretario del partito, Elly Schlein aveva lanciato un messaggio chiarissimo: “Abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari“. La nuova segretaria dem non ci era andata per il sottile, appellando gli esponenti del partito che fanno da diversi anni il bello e cattivo tempo nei territori, come i capi di alcune comunità tribali in America del Sud, capaci di esercitare un potere accentratore e spesso autoreferenziale. L’onesta e chiara riflessione della Schlein contro i signorotti del partito, però, non è riuscita ad attraversare lo stretto, almeno finora.

(La persistenza della memoria, Salvador Dalí)

L’occasione del prossimo congresso regionale che si terrà nella primavera del 2025, dovrebbe costituire il momento giusto per quella salutare svolta che porti il PD ad imboccare la via del rinnovamento nel solco indicato dalla segretaria. Questo, naturalmente, a condizione che si tratti di un congresso vero, non addomesticato a tavolino, ma frutto di un dibattito chiaro, s’è necessario anche duro, sulla piattaforma politica e programmatica del partito e sulle pecche e i limiti della sua classe dirigente.

Per arrivare ad una discussione franca e feconda, però, sono necessarie alcune condizioni di base, che rendano il dibattito congressuale e il successivo voto non inquinato da tesseramenti di comodo o dal voto organizzato da eventuali clientele personali.

Da questo punto di vista, la mia esperienza diretta di partecipante al congresso nazionale dello scorso anno non è stata molto edificante. Ho visto gli elenchi degli iscritti chiamati a votare crescere a dismisura, in contrasto con le riunioni dei circoli frequentati da pochissimi; incontri per discutere le diverse tesi (quei pochi che sono stati formalmente convocati) trascinarsi spesso  stancamente con la lettura di interventi preconfezionati e in assenza di un confronto vero che partisse dalle realtà locali; circoli di minuscole città con più iscritti dei centri capoluogo; risultati elettorali con tutti i voti, o la stragrande maggioranza di essi, attribuiti ad una mozione: casualmente quella del cacicco locale; garanti del voto che garantivano solo il loro dante causa; accordi tra rappresentanti di alcune mozioni per suddividere consensualmente i voti degli iscritti assenti; votanti che votano 3/4/5 schede; capibastone che precettano e accompagnano al voto familiari, parenti e amici che non avevano alcuna idea di chi fossero i candidati, tantomeno dei contenuti del congresso.

(Il libro delle onde, Salvador Dalí)

Un primo passo, pertanto, dovrebbe essere costituito da una sorta di ricognizione, magari attraverso una conferenza di organizzazione, sullo stato del tesseramento e dell’attività dei circoli e delle federazioni. Si scoprirebbe così che in qualche federazione non è stato costituito neanche “l’Ufficio Adesioni”, che ai sensi dell’art.8 del regolamento del partito  redige mensilmente l’anagrafe degli iscritti; che molti circoli non hanno a disposizione un elenco dei loro iscritti (tutti i circoli di Agrigento, per esempio, ad oggi non hanno avuto l’elenco degli iscritti del 2023 e tantomeno quello del 2024, nonostante siano stati richiesti ripetutamente al segretario organizzativo e al segretario provinciale); che tanti circoli sono costituiti sulla carta, ma non svolgono alcuna attività politica; che le segreterie e le direzioni provinciali in molti casi si riuniscono a distanza di anni (in queste situazioni viene da chiedersi: in quali altre sedi vengono prese le decisioni che riguardano i territori?); che tante commissioni tematiche territoriali non hanno elaborato alcuna proposta, né sono state luogo di dibattito per costruire l’agenda politica del partito. Molto emblematico, poi, l’uso alquanto discrezionale che viene fatto delle pagine social aperte dalle varie federazioni: sono quasi esclusivamente il megafono del deputato locale e dei circoli che ad egli fanno riferimento.  

In queste condizioni, è difficile pensare di poter celebrare un congresso trasparente e regolare che avvii in Sicilia il profondo rinnovamento di cui necessita il partito.

(Vincolo d’unione, Escher)

Pertanto, sarebbe auspicabile una attenta vigilanza della segreteria nazionale sulle procedure di tesseramento e sulla conduzione della fase precongressuale e congressuale. L’auspicio è che le carte non siano truccate, che i militanti possano confrontarsi senza condizionamenti e scegliere il nuovo gruppo dirigente liberamente, valutando la credibilità delle proposte in campo. Nei tempi difficili che viviamo, noi tutti, dirigenti eletti e militanti, abbiamo bisogno di ritrovare un forte senso di appartenenza ad una comunità di persone, ad un insieme di valori e di principi ideali, ad un progetto di profondo cambiamento di una società sempre più ingiusta.

Allora, visti i pregressi di scelte non sempre felici nel breve passato del partito siciliano, non sarebbe male, al momento del voto, dare anche un’occhiata all’album di famiglia dei singoli candidati. Il passato è un elemento importante nella definizione dell’identità di ognuno, una prova tangibile di un pregresso storico e di una successione di scelte che stimolano la memoria, il riconoscimento e il senso di appartenenza. Oppure, al contrario, quello di estraneità.

I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. (…) I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. (…) La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.

Enrico Berlinguer, 1980