di Vincenzo Zelo Miceli

Mi trovo tra le mani Planisfero, l’ultima raccolta di poesie di Vito Bianco.

L’impressione del primo contatto è quella legata al piacere visivo e tattile che mi dà la carta, una copertina semplice che riporta un’opera dell’artista palermitano Enzo Patti.

Provo a orientarmi nella serissima celia dei versi dispiegando sul tavolo questo singolare planisfero letterario.

La silloge in questione è stata pubblicata a inizio 2025 da Antipodes e si apre citando in esergo i versi di Szymborska «La gioia di scrivere./ Il potere di perpetuare./ La vendetta di una mano mortale.»

Ognuno di noi può avere un’idea chiara e personale sul perché un uomo a un certo punto possa avvertire il bisogno di fare poesia, ma il primo quesito che le parole di Szymborska mi fanno porre è: come cambierebbe il nostro rapporto con il piacere (o il prurito) della scrittura se fossimo immortali?

Non risponderò certo in questa sede a tale domanda, più saggiamente custodirò il dubbio, continuando il mio viaggio di mortale errando tra le parole scelte e curate dai miei simili.

La prima sezione di Planisfero porta il lettore in posti oscuri e si intitola A un certo punto nella notte.

Passiamo per città affondate, ipermercati che espongono su coloratissimi scaffali «lubrificanti per la secchezza dei sentimenti», sentiamo il vuoto della nostra società occidentale ma a un certo punto, nel buio e nel disfacimento drammatico ed entropico del tempo, qualcosa si accende. Nella notte della vita si svela la grazia.

Potrebbe forse crearsi la poesia, o anche la sua sola intenzione, se non fossimo capaci di intravedere, anche nei momenti più grigi e quotidiani, la grazia?

La seconda sezione de libro è Invenzioni e prodigi e si apre con il componimento La ruota, in cui l’autore con un’immagine a un tempo realistica e onirica sembra sussurrarci che la letteratura è un sensuale gioco di fraintendimenti. Alla fine della sezione, forse dalle giornate vuote trascorse davanti la tivù ma verosimilmente influenzato da precedenti letterari, nasce il bestiario di Vito Bianco. Prodigioso corollario di animali “come noi”.

La terza e ultima sezione dà il titolo all’intera raccolta, Planisfero.

Proprio l’ultima poesia della raccolta chiude il cerchio aperto con la citazione di Szymborska, con i versi «Per dire che qua da me la morte/ non avrà il mio sostegno/ che mi volto/ subito dall’altra parte».

Vito Bianco tesse una poesia narrativa non priva di ritmo e distribuisce nel testo anche le rime, accantonate dalla poesia contemporanea ma mai andate davvero in disuso. I versi seguono un periodare paratattico, raccontano ed elencano.

Ho certamente apprezzato lo stile già maturo di questo libro, costruito con sobrio equilibrio. Mi riprometto di leggere alcuni racconti dell’autore per vedere in che modo la sua scrittura si scioglie nella prosa.

Di Bac Bac