di Tano Siracusa
Ha chiesto l’elemosina a ogni tavolo ma nessuno ha sganciato una moneta. Tarchiato, la barba inspida, l’accento slavo, a occhio potrebbe essere uno di quelli che sbrigativamente chiamiamo Rom. Si avvicina l’indispensabile, porge il cappellino verso i clienti allungando il braccio come fosse una protesi, forse neppure sua. Apre e chiude la bocca ma si capisce poco, suoni più che parole, sembra trasparente e come muto, invisibile.
Di fronte l’ ingresso principale della Villa Bonfiglio quasi tutti i tavoli del bar sono occupati. E’ l’ora del caffè, il primo pomeriggio di un 2 novembre che sembra fine estate.
Poco dopo l’uomo che senza successo ha chiesto l’elemosina si avvicina e domanda nella sua lingua soprattutto gestuale fino a quando sarà possibile circolare, fino a che ora. Bisognerebbe spiegargli che si aspetta Conte, il governo che lo comunicherà fra poco, prima di sera forse si saprà.
Lungo la statale che scende verso la valle, alla rotonda sotto il tempio di Giunone, il traffico rallenta per una postazione di controllo, poi fluisce intenso e regolare verso le spiagge: c’è tanta gente in giro, che passeggia, che corre, spensierata, leggera, donne che sembrano spinte alle spalle, pronte a sollevarsi da terra come foglie, come tante Bella Rosenfeld dipinte da Chagall.
Anche quelli che passeggiano sulla spiaggia o che vi si sono distesi, che affollano i chioschi e scherzano, che sorridono attorno ai tavoli, i bambini che giocano, anche la famiglia che si mette in posa per una fotografia: sembrano tutti appartenere a un mondo separato, sospeso nell’attesa smemorata di un tg, di qualche notizia cui è meglio non pensare. Come è meglio non pensare a quell’altro pomeriggio di tarda primavera, quando spaesati si erano riversati per strada, sulle spiagge, di nuovo a passeggiare e correre come oggi, sognando un ritorno dei turisti che sembrava impossibile. Cominciava l’estate allora e una lunga rimozione.
La sera, il buio, arrivano all’improvviso. Dal Viale della Vittoria l’orizzonte verso Porto Empedocle è ancora acceso, un riverbero porpora sopra l’orizzonte, quando in piazza Cavour si raccoglie una piccola folla, un centinaio di persone. Imprenditori, commercianti, partite IVA, telecamere e microfoni accesi.
Tutti con la mascherina, distanziati, un servizio d’ordine efficiente ma anche inutile. La manifestazione è infatti pacifica, civile, senza slogan gridati. Il primo applauso è per chi accusa il governo Conte di essere stato capace durante l’estate solo di dare “i buoni vacanza che ci hanno portato i turisti e il virus’’.
Anche questa una rimozione. Molti degli operatori economici presenti in piazza hanno infatti beneficiato dell’inatteso flusso turistico di luglio e agosto. Ma oggi è il tempo della protesta, della rabbia: hanno investito, hanno messo a norma i locali, hanno cercato di resistere, e adesso si rischia di vanificare tutto. Qualcuno al microfono grida contro i politici, contro quelli che non sono venuti in piazza a protestare. Dice che ora vogliono i soldi che sono stati promessi.
Niente centri sociali e neofascisti qui, neppure partiti e sigle sindacali: chi grida al microfono sembra un comiziante degli anni ’70, di quelli che si mettevano fuori o che erano lasciati fuori dal giro istituzionale.
La sera è scesa anche a mare. Nei chioschi hanno acceso le luci, è l’ora dell’aperitivo. Inutile chiedere in giro per sapere cosa ha detto Conte. Gli interisti sono in minoranza e, come sempre, di cattivo umore.