di Pepi Burgio
Che triste cosa gli uomini se son capaci di offrirsi in un ghigno beffardo che irride con giocoso sadismo lo strazio della vittima. Nelle più recenti composizioni pittoriche di Crizzo, anche avvertendo un certo richiamo agli osceni volti di Bosch, essi in ogni caso rappresentano soltanto una mera occasione per collocare, nelle regioni nodali del mito, i motivi ispiratori della sua poetica; che si articola, in seguito ad una propedeutica rappresentazione scultorea, in una sequenza non bozzettistica di definizioni sempre più in dettaglio, scandita da compimenti via via più estesi. Fino al parto dell’opera, frutto di una complessa gestazione.
Il mito, luogo simbolico del sedimento degli archetipi, pensiamo sia assunto da Crizzo come rivelazione e nascondimento di una antropologia in parte affine alla propria esperienza vissuta, fin dalla adozione di una tecnica faticosa e aurorale, sofferta e feconda, consustanziale ad uno dei motivi di fondo della sensibilità dell’autore: la “fedeltà alla terra”, segnalata nei suoi quadri dalla presenza di prodotti originati dalle profondità terrestri. E se mitologici risultano i riferimenti linguistici e ctonie le tensioni etiche, barbarico, straniero, appare Crizzo: al suo tempo, alle procedure codificate della produzione artistica, al proprio territorio, estraneo al valore di questo artista.
La cifra espressiva che maggiormente lo connota, rinvia ad atmosfere gonfie di inquietudine, come quelle che si avvertono di fronte alle opere di Balthus o alle afonie metafisiche di Hopper; e perturbanti, ma solo nell’accezione, tra le molteplici declinate da Freud, di “qualcosa di rimosso che si ripresenta”. E Freud subito dopo ha aggiunto, in questo straordinario saggio del 1919, che ha per titolo, appunto, Il perturbante, quanto segue: “ (…) questo elemento perturbante non è in realtà nulla di nuovo o estraneo, ma un elemento ben noto e impiantato da lungo tempo nella psiche, che solo il processo di rimozione poteva rendere estraneo. Inoltre questo richiamo alla rimozione ci mette in grado di comprendere la definizione di Schelling, secondo il quale il perturbante è ciò che doveva rimanere nascosto ma è venuto alla luce .”
Sappiamo bene che i pittori non gradiscono tanto certe intrusioni ermeneutiche nei loro edifici creativi, e hanno in genere ragione. Ma queste parole rappresentano solo un modo per ringraziare Crizzo per il favore con cui giorni fa ci ha accolti.