di Nuccio Dispenza
Sono stato in Belgio poco prima che la pandemia chiudesse i confini a ciascuno di noi. Liegi, Bruxelles, e quelle che un tempo erano le zone minerarie, da tempo ormai cimiteri industriali di uno spettrale color ruggine che fanno ombra a vecchie schiere di case operaie, dove si incontrano solo vecchi, più spesso vecchie con gli uomini morti presto. Ci sono tornato per legami familiari, e per la mia convinzione che il Belgio, lungi dall’essere un Paese “piatto”, è tra quelli europei uno tra i più interessanti. E se è interessante, questo lo deve anche a quel mélange di popoli che oggi qui liquidiamo come fastidiosa emergenza. Un motivo in più, e non ultimo, per tornarci, il mio amore per Georges Simenon.
Ricordo oggi quel viaggio perché alla vigilia di Italia-Belgio, agli Europei di calcio, l’attesa partita mi appare un emozionante derby, con tanta Italia, con tantissima Sicilia che scorre nelle vene di quel Paese, i paesi dell’agrigentino, Favara, Aragona, Grotte e Racalmuto, Joppolo Giancaxio e Raffadali, Comitini e Sant’Angelo Muxaro. E tanti altri del nisseno o quelli a cavallo tra Agrigento e Palermo.
Ci fu un tempo che quasi si svuotarono per un passaggio dallo zolfo e il sale al carbone. L’Europa si ricostruiva dopo l’orrore e la stoltezza della seconda guerra mondiale, e le braccia e le bocche del Sud, per un accordo economico, venivano prese di peso e ricollocate. Il carbone ne avrebbe uccisi tanti, ma anche sfamati molti.
Soddisfatto di ripercorrere i luoghi di Simenon, a Liegi, rue Léopold, dove nacque, al numero 26 oggi 24, il quartiere Oltremeuse, a due passi da Ponte des Arches, la targa che ricorda il vero Maigret, Arnold Maigret, poliziotto dei tempi in cui Simenon era un giovane cronista; fatto questo, è stato poi emozionante cercare e trovare tracce di quella diaspora.
Intanto, ecco loro, i miei cugini, belgi ed anche tanto italiani. Loro come tanti altri, col lavoro del padre han studiato, divenuti professionisti, sensibili intellettuali europei, ma appassionati custodi di una cultura familiare che coltivano, trasmettono, traducono in eventi culturali. Le loro radici insieme a quelle di tanti altri, realtà diverse venute prima e dopo. Un mix straordinario nel quale trovi tradizione araba ed ebraica accanto alla nostra, a quella africana.
A Bruxelles c’è una delle cose più belle mai viste, il Museo reale per l’Africa Centrale. Poco fuori città, a Tervuren, nel Brabante Fiammingo. Una villa ed un parco reali straordinari e una nuova bellissima struttura moderna, in un insieme sorprendente. Museo che – diciamolo – al tempo era nato come una sorta di immensa collezione di trofei a testimonianza di tempi che furono. Il nuovo Belgio gli ha dato un nuovo senso facendone centro di etnografia e storia naturale. Sorprendente. E i belgi con radici in Africa si riconoscono in questo nuovo modo di intenderlo. Operazione riuscita, anche dal punto di vista sociale e politico.
Quelle diversità, anche quella che per tanto tempo relegò i nostri conterranei, appaiono cancellate. Paradossalmente, l’unica barriera che resiste è quella interna tra fiamminghi e valloni. Ma torniamo a noi, dopo Liegi, Bruxelles, in giro, per strade e piazze. Città elegante Bruxelles con tante librerie e cioccolaterie antiche, di legno e di specchi. A Bruxelles come a Liegi e nei paesi dell’ex bacino carbonifero, in strada e nelle piazze il siciliano riesce anche a prevalere nei banchi di frutta e verdura. Cerchi qualcosa? Puoi domandarlo in siciliano, incroci di certo uno che ti capisce e ti passa il tenerume e tant’altro che magari stenti ormai a trovare nella bottega di Porta di Ponte. Hai da far arrivare qualcosa giù in Sicilia? No problem, tra il Belgio e i tuoi paesi c’è come una linea sempre in funzione.
Certo, su quel binario facile che scorra e corra anche qualche malaffare, una brutta intenzione, un ordine criminale. Lo dice la cronaca, lo conferma il lavoro di magistrati e investigatori. Certo, ma il più è una realtà ricca, salda, laboriosa, vivace, intelligente. Figli e nipoti di chi lasciò per fame la Sicilia oggi spesso è “il meglio Belgio”. Il mercato delle pulci di Bruxelles è un’emozione. La Place du jeu de Balle, nel cuore del quartiere Marolle è una spianata di storia, dove gli occhi fanno in fretta a posarsi sulle piccole cose che ti appartengono, che sono tracce di vita quotidiana dei tuoi luoghi, trapiantata: dalla valigia alla credenza fino a finire, chissà per quali piccole storie, magari anche un ritorno, nelle bancarelle, accanto alle cose di chi poi è arrivato dall’Africa dall’Est d’Europa, dal lontano Est del mondo. Piccole cose di poco valore, non il tanto interessante decò locale, quello prende le strade dei negozi di antiquariato, poco più in là. Piccole cose, come i tre personaggi di un vecchio carrettino siciliano che ho acquistato per pochi euro. Fatti come si facevano un tempo, coi materiali di un tempo, “pittati” a mano. Emozionato come se avessi trovato un dattiloscritto di Simenon.
Italia-Belgio, dunque, è un derby, una partita che ci appartiene sia nell’azzurro che nel nero, nel rosso e nell’oro di Lukaku e compagni. E mi piacerebbe seguirlo a Liegi come a Bruxelles in uno dei tanti locali di italiani, od anche a Joppolo Giancaxio, in piazza o accanto a chi dalla strada, in un paio di file di sedie, la guarda in tv, per l’occasione affacciata sulla strada. Sono giorni di rientri, “giancascisi” del paese e “giancascisi” che tornano. In strada dialetto e francese si intrecciano, fanno la staffetta nella stessa bocca. Di piccoli e adulti. Si inizia a parlare in francese, si esclama in dialetto, si riprende in francese. In dialetto gli incontri, con parole che pensavamo perdute. “Quest’anno, per gli strascichi della pandemia, stanno tornando al rallentatore, in numero minore…”, mi dice l’amica Claudia, che a Joppolo vive. Certo, è vero, ma Italia-Belgio – da giurarci – sarà comunque derby, vissuto coi colori delle luminarie, i sapori ritrovati, gli abbracci, pure questi ritrovati.