La percezione che abbiamo della realtà è in larga misura condizionata dalla rappresentazione che ne danno i mezzi di comunicazione di massa, confusa, dissonante, superficiale. Una delle conseguenze dell’attuale pervasiva polifonia mediatica è un inevitabile abbattimento delle soglie di consapevolezza critica, una ‘chiacchiera’ che livella chi sa di più e chi sa di meno, lo specialista e il tuttologo, e che alimenta a volte una vera e propria sostituzione di ciò che viene sollevato dall’onda mediatica, una sua trasfigurazione. La tragedia diventa spettacolo, l’autore diventa personaggio.
In realtà la trasformazione di un operatore culturale o artistico a star è un fenomeno relativamente recente. La metamorfosi investe in modo imparziale i sacerdoti del vero come del bello, esponenti del mondo scientifico e di quello artistico. Di Einstein pochissimi sanno cosa abbia davvero pensato come pochissimi sconoscono l’icona fotografica del vecchiaccio eccentrico e notoriamente geniale che mostra la lingua. Di Sgarbi pochi hanno frequentato il lavoro di critico d’arte, ma tutti hanno familiarità con il personaggio sguaiato, con la bava alla bocca, che inveisce dentro la cornice dello schermo televisivo contro il malcapitato di turno.
Alcuni di questi personaggi piacciono a un pubblico vastissimo, per ragioni che a sparute minoranze appaiono spesso misteriose. Ma l’avvenuta sostituzione, la trasfigurazione dello scienziato, dello scrittore, del pittore, del fotografo nell’icona, nel personaggio per forza un po’ ‘esagerato’, che possibilmente veste strano, che usa spesso il turpiloquio perchè al pubblico piace (meglio se con inflessioni dialettali), questo scambio sfugge alla consapevolezza di chi è immerso nel flusso mediatico. Sfugge che a venire celebrato è in realtà il personaggio, non l’autore.
L’equivoco non è privo di conseguenze. E non tanto nella distribuzione del potere in contesti – il mondo lettererario e artistico come quello accademico o dell’informazione – dove spesso le rivalità sono molto accese.
E’ probabile infatti che la chiacchiera televisiva ed editoriale, formidabile fabbrica di miti e leggende, possa approfondire la discontinuità che si è sempre manifestata fra cronaca e storia. Ci sono sempre stati e ci saranno sempre scienziati, filosofi, artisti celebrati in vita e dimenticati pochi decenni dopo la loro scomparsa, classificati magari poi come ‘minori’ nei manuali. Come ci sono stati e ci saranno sempre autori misconosciuti in vita e destinati a postume celebrazioni. Ma queste cesure nei giudizi, nei vari ‘canoni’, sono avvenute comunque all’interno di un contesto specialistico di addetti ai lavori, che nell’epoca della comunicazione di massa riemerge quando l’onda mediatica della cronaca si ritira, quando il ‘personaggio’ viene consumato dalla sua stessa usura e rimane solo la sua opera. Orientato verso una narrazione pop, tanto ricca di spettacolarità, di personaggi, di divi e dive, di icone e folle incantate quanto povera di conoscenza, di mediazione critica, il sistema dello spettacolo è probabilmente destinato a vedere oscurati i suoi firmamenti e le sue star nel brusco passaggio dai fasti della cronaca al più disincantato resoconto della storia. E’ difficile pensare che fra qualche decennio certi autori oggi celebrati continueranno ad esserlo, soprattutto quando, e non per caso, il loro attuale indice di gradimento si riferisce molto meno alla loro specifica attività professionale che ai “personaggi” mediatici che hanno imparato a recitare o, peggio, ad essere.
Nel sistema ci sono tuttavia disfunzioni e smagliature. Non tutti si prestano alla recita. Ad alcuni le luci della ribalta infatti non interessano più di tanto o proprio non piacciono. Il personaggio che viene costruito sull’ autore di successo viene a volte dall’interessato tenuto a distanza, schivato, toreato con ironia. Oppure negato attraverso l’irreperibilità, la scomparsa, l’occultamento della identità dell’autore. Sono quelli che preferiscono le finestre agli specchi.
Nel nostro territorio conosco più di un paio di ‘autori’ appartati nei loro laboratori, lontani dalla ‘chiacchiera’ dei media e dei social, concentrati sul loro lavoro, che ascoltano un po’ perplessi i visitatori venuti da fuori, stupiti in uno studio privato ad Aragona o in un garage di Porto Empedocle davanti alle loro opere, o magari lette, se si tratta di scrittori, in una scadente edizione di provincia esclusa dalla grande distribuzione, ammirati e dispiaciuti perchè quelle opere le vorrebbero esposte o pubblicate a Milano o a Parigi, inserite nel grande circuito mediatico.
Giusto, penso. Fino a quando per un attimo li immagino sul palcoscenico, celebrati sui media da giornalisti incompetenti o peggio da raffinati guru della grande chiacchiera, adorati come divi, trasformati in icone, in personaggi pop; come il povero Van Gogh, penso, ignorato da vivo e indaffarato oggi a reclamizzare qualche rasoio su un cartellone pubblicitario oppure ad arricchire i trafficanti al supermarket dell’arte con prezzi stellari.
E allora mi convinco che i miei amici artisti stanno bene lì dove sono, nella loro penombra: molto meglio lì che su un palcoscenico a recitare il personaggio, magari un po’ buffo, un po’ nevrotico, incantatore e incantato a volte da se stesso, dal suo doppio, dal suo pupo diceva Pirandello. A dare spettacolo.
Nè i successsi della cronaca, nè quelli della storia sembrano interessarli, e attorno a loro c’è buona musica e molto silenzio. Anche la videocamera di un amico può essere di troppo. Neppure i soldi, per questi eccentrici, sono poi così importanti. Piuttosto che essere guardati e messi in scena, immaginati e immaginari personaggi di uno spettacolo che poco o nulla ha a che fare con la loro attività, preferiscono guardare fuori e dentro di sè e poi mostrare ciò che hanno visto, che hanno immaginato o capito. Scrivendo, fotografando, suonando, immergendosi nei testi di Heidegger o nell’osservazione dell particelle subatomiche, dipingendo, plasmando dei materiali, inventando nuovi linguaggi, cioè nuovi mondi. A loro basta, e anche a quelli che li vanno a cercare.