Erano i primi anni ’60 e nell’Italia già in avanzata ricostruzione si era fatto spazio un cinismo che aveva preso il sopravvento sui buoni sentimenti usciti dalla tragedia della guerra voluta dal fascismo, succube del nazismo. Tra gli altri, fu Dino Risi a cogliere questo, a leggere la cattiveria strisciante che si era insediata nelle pieghe della nostra società. La dipinse nel magistrale film del 1963,”I mostri”, con una memorabile coppia, Gassman e Tognazzi. Quindici anni dopo, lo stesso Risi con Monicelli ed Ettore Scola, riprese quella impietosa lettura. Era il 1977, in sala arrivava “I nuovi mostri”. Una dichiarata lettura spietata, che ritornava, che continuava. Non ci fu un terzo film, una locandina ad annunciare “I nuovissimi mostri”. Non che i cattivi sentimenti raccontati da Risi e gli altri fossero stati cancellati da buone raffiche di vento. Forse il cinismo non sorprendeva più, mentre il cinema aveva preso altre strade, più avanti sarebbe tornato sui nostri cattivi sentimenti, col dramma e con la commedia, magari non all’altezza di quella degli anni Sessanta e Settanta.
I mostri sono rimasti, si sono riprodotti, come un inarrestabile blob. Continuano ad affacciarsi dalle pieghe del sipario della cronaca. Quei film sulla sorprendente cattiveria di un’Italia che cresceva apparentemente felice e inarrestabile tornano alla mente soffermandosi sul più recente capitolo di un fatto di cronaca di qualche tempo addietro: Viviana trovata morta ai piedi di un pilone, nel messinese, poco distante dall’autostrada, e il successivo ritrovamento del suo piccolo Gioele, senza vita. Tante ipotesi iniziali dopo le prime speranze di trovare vivo il piccolo, poi un dolore immenso e diffuso per le dimensioni dell’accaduto. Dolore partecipato, condiviso, sconvolgente. Ora, dagli atti che mettono ordine nell’accaduto emerge il ritratto di una donna da anni in preda ad allucinazioni, che uccide il suo bambino per poi suicidarsi. Ma emerge anche il contesto familiare nel quale quella tragedia si è consumata. Con Roberto, papà e marito delle vittime, pronto ad andare in tv a parlare del dramma che aveva distrutto la sua famiglia, ma solo per soldi, solo per molti soldi. Emerge anche che la sorella di Viviana non aveva rivelato agli inquirenti che la donna aveva già tentato il suicidio.
In una delle intercettazioni che hanno permesso di chiarire quello che in un primo momento era apparso assai scuro, si sente il papà di Gioele che dice:”Ma quale mille euro, Roberto! Sì, mille euro…ma non esiste! Almeno il più scarso deve essere cinquemila euro. Se no, non ci vado, non mi interessa, non mi sbatto… Ma tu lo sai quanto vengono pagate le persone là? Tu non hai idea”. Daniele, padre e marito, parla così al telefono con il cognato Roberto. E’ il 10 ottobre 2020, sono passati due mesi dalla scomparsa della moglie e del figlioletto, e il tema dominante dei pensieri dell’uomo è solo uno: andare in tv traendo il maggiore vantaggio economico dall’esposizione di sentimenti e di dubbi che non avrebbero avuto motivi di esistere, visto che il quadro clinico della donna era ampiamente conosciuto in famiglia. Taciuto, anche a chi si faceva in quattro per dare una spiegazione a quello che era accaduto e che aveva sconvolto il Paese intero. Nelle intercettazioni, si sente Daniele che annuncia di avere incaricato un avvocato di scrivere una lettera. “Io cerco soldi…Se mi vogliono…Altrimenti non ci vado…”.
Ci sarebbe tant’altro da dire, sulle mostruosità degli uomini, sulla mostruosità dei meccanismi televisivi, sulla costante merceficazione del dolore. Se c’è chi vende il dolore, c’è chi è abituato a comprare, forse con pari cinismo. E questo è un dramma nel dramma. Storia di mostri, storia di mostruosità contemporanee.