di Nuccio Dispenza
Bosniaca, rom e ladra. Certo la ragazza che è stata costretta a partorire in carcere non aveva un profilo con grande appeal, in una società profondamente incattivita e affascinata, semmai, dall’occasione di discriminare e criminalizzare, poco propensa alla benevolenza e alla comprensione. La storia la sapete, è stata raccontata dalla cronaca, certo non con il risalto che alcune nostre sensibilità si sarebbero attese. Per quel poco di rumore che l’accaduto, alla fine, è riuscito a sollevare, il ministro della Giustizia ha disposto un’ispezione che chiarisca l’intera vicenda.
La ragazza viene da un campo rom di Castel Romano, periferia urbana che da Roma si spinge fino al mare, con la Pontina. Uno dei tanti campi rom che continuano a proliferare, in condizioni indicibili, dentro e tutt’attorno Roma. Il campo è una discarica, la discarica è un campo. Colta sul fatto, col pancione, la ragazza era finita dentro.
Per lei era stata chiesta una soluzione diversa, una casa che l’ospitasse, in attesa del giudizio, ma ancor prima, in attesa del parto e dell’inizio della maternità. Niente. E pare che a decidere sia stato un magistrato donna.. E così, la notte del 3 settembre si rompono le acque e la ragazza partorisce ancor prima che – coi tempi immaginabili – arrivino un medico e un sanitario. Partorisce aiutata da chi le è accanto, senza un sanitario.
Chi arriva al mondo non avvia domanda formale da inoltrare a quell’ufficio da quest’ufficio. Si nasce così, quando il buon Dio decide. L’ho pensato e qui lo ripeto: questa vicenda è un orrore, uno scandalo che avrebbe meritato ben altra, tanta indignazione, anche da parte delle donne, più pronte ad indignarsi per la mancata declinazione al femminile di una professione o per qualche nomina senza un’adeguata presenza femminile.
E’ bene che ce lo diciamo, continuiamo ad avere – me in prima fila – parecchi pregiudizi, e quello per i rom è tra i più resistenti. Ci danno fastidio, ci da fastidio il loro vivere, il loro parlare, il loro modo di vestire, i loro orecchini e le collane d’oro degli uomini, i loro spiccioli alla cassa del supermercato, di loro segniamo col lapis blu soltanto quella che noi consideriamo, a torto, una “razziale” predisposizione a delinquere.
Ci basta sapere questo, essere convinti di questo. Non salviamo neanche i bambini, anzi. Certo, per fortuna non un pregiudizio generale, generalizzato. Esistono delle eccezioni, vivaddio. Esistono, anche nella città di Roma, importanti esperienze di inserimento della comunità rom, dei loro piccoli, e la Chiesa fa un gran lavoro.
Anche ieri ed oggi, a Budapest, Francesco ha avuto un occhio di riguardo proprio per quelle macchie colorate di rom che animavano il popolo di Budapest nella spianata degli Eroi, in attesa delle parole di conforto e di incoraggiamento del Papa. Parole che sono arrivate, puntuali, parole contro gli estremismi razzisti, contro le discriminazioni, vuoi contro neri, vuoi contro ebrei, vuoi contro rom, vuoi contro i gay. Parole ferme, con Orban che origliava, a distanza.
Estremizzando, lo dico: il ginocchio assassino sul collo di un uomo fermato soprattutto perchè nero non è molto diverso da porte chiuse e sbarre frapposte alla nascita di un bambino. Nascere e morire sono l’inizio e la fine della vita e devono compiersi, l’una e l’altra, in libertà, secondo le leggi della vita. Sempre.
Ma chiudo con un brevissimo racconto fattomi da un’amica. Che valga come goccia di speranza.
‘Mamma, oggi viene a trovarmi una compagna di scuola, per studiare assieme e per fare assieme merenda!.’
‘Bene!’, risponde la mia amica alla sua bambina, e prepara la merenda.
Arriva l’amichetta. Le bambine studiano, fanno merenda, poi la compagnetta va via.
Quando mamma e figlia rimangono sole la mamma dice alla figlioletta: ‘Perché non mi hai detto che la tua compagnetta era nera?’L’amica lo chiede senza prevenzioni, con un sorriso, con comprensibile sorpresa, solo per sapere.
E la bambina: ‘Perchè avrei dovuto, che importanza ha il colore!’.