di Nino Cuffaro
Agrigento non è mai stata così sporca come in questi ultimi anni. La situazione è insostenibile, ne va della vivibilità della città e della salute dei cittadini. Una città che, per il suo patrimonio storico e artistico, può legittimamente aspirare ad essere una delle capitali culturali del mediterraneo, non può presentarsi in modo così indecoroso ai visitatori sempre più numerosi che ne affollano le strade. Questo nonostante si paghi una tassa sui rifiuti tra le più care d’Italia. Le responsabilità di questa incresciosa situazione sono molteplici.
In primis, la scarsa educazione civica degli agrigentini che, poco propensi ad accettare le regole della raccolta differenziata, hanno disseminato la città e, in particolare, le sue vie di accesso di sacchetti di spazzatura e cumuli di rifiuti di ogni genere. Ma le ragioni più profonde vanno cercate nella incapacità di diversi enti pubblici a governare il ciclo dei rifiuti, predisponendo le infrastrutture previste dalle norme nazionali e comunitarie, come l’impiantistica per la gestione dei rifiuti recuperati attraverso la raccolta differenziata: carta, cartone, plastica, metalli, legno e, innanzitutto, l’organico da trasformare in compost per l’agricoltura.
Inoltre, come evidenziato dalla inchiesta parlamentare della commissione antimafia siciliana guidata da Claudio Fava, “la governance regionale sul ciclo dei rifiuti è stata spesso ostaggio di un gruppo di imprenditori che hanno rallentato, anche per responsabilità di una politica compiacente, ogni progetto di riforma”. “In altre parole, si è consentito una sorta di oligopolio, garantito e protetto dagli apparati amministrativi e politici, a beneficio dei titolari di poche imprese private”. Creando così ricchissime rendite di posizione ed inefficienze macroscopiche nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti, che sono diventati una miniera d’oro per pochi eletti.
La gestione dei rifiuti in Sicilia
Fino agli anni ‘90 il sistema di gestione dei rifiuti era sostanzialmente pubblico e governato dai singoli comuni. Ogni città disponeva di una discarica e il servizio di raccolta era gestito direttamente dalle amministrazioni comunali. Questo sistema, che disconosceva il riciclo dei rifiuti e disseminava centinaia di mini discariche in tutta la Sicilia, viene superato negli anni ‘90 con l’entrata in vigore del decreto Ronchi (1997) che, rendendo efficaci in Italia le direttive europee sui rifiuti solidi urbani, obbliga i comuni alla raccolta differenziata. Intanto arriva anche il vento liberista che porta alla privatizzazione anche nei servizi pubblici essenziali ed i comuni cominciano ad esternalizzare il servizio di nettezza urbana.
Il primo tentativo di affrontare il tema dei rifiuti in modo organico, è rappresentato dal piano regionale sui rifiuti che porta la firma del governo di Angelo Capodicasa nel 1999, che si pone l’obiettivo di superare la parcellizzazione delle micro gestioni comunali e di introdurre la raccolta differenziata in armonia con la direttiva Ronchi. Quel piano, però, resterà lettera morta. Il governo Capodicasa dura poco e il suo successore, Salvatore Cuffaro, stravolge l’impostazione basata sulla raccolta differenziata a beneficio dei termovalorizzatori: un nome accattivante per non parlare più prosaicamente dei pericolosi inceneritori, che bruciano spazzatura e liberano nell’aria diossine cancerogene e tanti altri inquinanti. Fortunatamente per i siciliani, il piano degli inceneritori fallisce, in seguito alla decisione della Corte di Giustizia Europea del 2007 che annulla le gare di appalto per mancato rispetto della normativa comunitaria. Dal canto suo, la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo avvierà un’indagine che svelerà l’esistenza di un vero e proprio accordo di spartizione degli impianti, anche se l’esito finale dell’inchiesta sarà l’archiviazione per intervenuta prescrizione. Sempre Salvatore Cuffaro introduce gli ATO (Ambito Territoriale Ottimale) che esautoreranno i comuni dalle loro funzioni in materia di rifiuti, con l’obiettivo di creare economie di scala, gestendo i servizi afferenti a più comuni. Ma, mentre in altre regioni si davano vita a pochi ATO (in Lombardia con il doppio di abitanti della Sicilia ne vengono costituiti 6) in Sicilia se ne costituiscono 27. Perché un numero così alto? Servono a moltiplicare le poltrone da presidente, consigliere di amministrazione, direttore generale, membro del collegio sindacale, consulente, e soprattutto ad allargare enormemente i posti di lavoro, ben oltre le necessità di servizio, a fini chiaramente clientelari. Com’era prevedibile, gravati dai costi enormi per il personale, gli ATO falliranno in pochi anni, lasciando sul groppone della regione un debito di oltre 1,5 miliardi di euro.
Chiusi gli ATO, nel 2010 vengono costituite da Raffaele Lombardo diciotto SRR (Società per la Regolamentazione del servizio di gestione dei Rifiuti) per predisporre i piani di ambito, definire le tariffe e i costi standard dei servizi, monitorare l’esecuzione dei contratti e progettare l’impiantistica necessaria allo smaltimento e recupero dei rifiuti. In realtà le SRR non hanno prodotto alcuna pianificazione e progettualità dell’impiantistica (in Sicilia mancano impianti per il trattamento delle plastiche, del vetro, dei metalli e della carta recuperati dalla raccolta differenziata. I materiali raccolti vengono inviati fuori regione con costi economici ed ambientali notevoli), il loro ruolo effettivo, pertanto, è poco chiaro. Un ulteriore riforma arriva con Rosario Crocetta nel 2013, che affianca alle SRR gli ARO (Aree di Raccolta Ottimali), per mettere assieme più comuni con il compito di occuparsi del servizio di spazzamento, raccolta e trasposto dei rifiuti urbani. Il tentativo è quello di ridare centralità ai comuni nella raccolta dei rifiuti. Nella realtà si dà vita ad un ginepraio di enti e di piani di emergenza, puntualmente disattesi, che non hanno mai saputo disciplinare l’intera filiera dei rifiuti (Raccolta differenziata – Trattamento e recupero delle materie riciclabili – trasformazione in materia seconda – commercializzazione ed avvio al nuovo processo produttivo) trascurando l’unica vera soluzione nella gestione dei rifiuti: la raccolta differenziata, che trasforma il rifiuto da problema in risorsa. Ovviamente, il moltiplicarsi dei decreti emergenziali, degli enti preposti, dei piani di intervento, delle procedure, dei passaggi burocratici, crea terreno fertile per le infiltrazioni della criminalità organizzata e della mafia. Non a caso negli ultimi anni si sono moltiplicate le inchieste giudiziarie che riguardano le aziende del settore, con reati che vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione, all’infiltrazione mafiosa e all’inquinamento ambientale.
La Sicilia oggi non arriva al 30% di raccolta differenziata e continua ad ammassare rifiuti indifferenziati, spesso facendoli viaggiare da una parte all’altra della regione, con costi enormi e continue situazioni emergenziali dovute alla progressiva saturazione degli impianti di raccolta, nonostante il loro continuo ampliamento. Di fronte a questa situazione fallimentare, il governo Musumeci insiste nel riproporre gli inceneritori (chiamati ora termoutilizzatori), contro le direttive europee che prescrivono con forza di puntare sulla riduzione dei rifiuti, sul riutilizzo e sul riciclo, bocciando ogni ipotesi di ampliamento delle discariche e di incenerimento. Posizione che viene chiaramente ribadita nelle linee guida agli investimenti verdi del PNRR.
La situazione di Agrigento
Il comune di Agrigento fa parte della “SRR-ATO4 Agrigento Est” assieme ai comuni di Aragona, Comitini, Castrofilippo, Grotte, Favara, Licata e Racalmuto. A sua volta, poi, Agrigento costituisce da sola una ARO (Area Raccolta Ottimale). Il servizio di spazzamento, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani è affidato ad un raggruppamento di imprese guidato dalla ditta Iseda, che sostanzialmente gestisce il servizio da quando il comune ha dismesso la gestione diretta, cioè da oltre 20 anni. L’ultimo rinnovo del contratto risale al giugno del 2019 quando l’impresa si aggiudicò, un’unica partecipante all’asta indetta dalla SRR, l’appalto con un minimo ribasso sulla base d’asta, pari all’1,17%. Nella definizione del costo complessivo del servizio, ai lavori inseriti nel contratto d’appalto vanno sommati i lavori accessori (pulizia e sgombero di rifiuti abbandonati), i lavori opzionali (interventi di bonifica di siti con rifiuti pericolosi), i lavori di emergenza (bonifica di rifiuti combusti, trasposto di carogne di animali morti), il contributo al funzionamento della SRR e i costi di conferimento in discarica dell’indifferenziato, per un ammontare pari a circa 16 milioni di euro annui: la spesa più rilevante del bilancio comunale, dopo quella relativa al costo dei dipendenti.
Perché con una spesa così imponente, a cui conseguono bollette salate per i cittadini, la città è sporca, sempre più sporca? La risposta può essere ricercata nel capitolato di appalto, dove vengono definite la quantità e la qualità dei servizi che le ditte aggiudicatarie devono garantire.
I servizi di spazzamento e raccolta dei rifiuti
l’art.3 del capitolato di appalto prevede lo spazzamento manuale e meccanico e il lavaggio meccanizzato di strade, marciapiedi, piazze ed ogni area pubblica, compresi i cimiteri comunali. Rientrano nel contratto anche la pulizia delle ville e dei giardini, nonché lo scerbamento stradale e lo svuotamento giornaliero dei cestini. Per lo spazzamento meccanico, negli allegati al capitolato, è previsto l’impiego di 3 spazzatrici, che con frequenza diversa (quotidiana nelle aree centrali, settimanale in quelle periferiche e bisettimanale nelle zone marginali) dovrebbero pulire la città. Su questo punto mi pare evidente la scarsa adesione della realtà alla previsione normativa. Lo spazzamento meccanico è una rarità. Ogni tanto si vede una spazzatrice al viale o a San Leone, quasi a fare un passaggio per farsi notare. Peraltro, lo spazzamento meccanico richiederebbe un’organizzazione dei parcheggi a bordo strada che non è mai stata programmata ed attuata: nelle ore in cui è previsto il passaggio della spazzatrice dovrebbe essere vietata la sosta delle auto, per rendere efficace lo spazzamento. Inoltre, molte delle vie periferiche comprese nello stradario dello spazzamento meccanico sono in uno stato di dissesto, piene di buche e avvallamenti, che rendono impossibile l’operatività della spazzatrice.
Lo spazzamento manuale, invece, è concentrato in pochissime strade (via Atenea, Porta di Ponte, il primo tratto del Viale, il lungomare nei periodi estivi), nelle altre zone centrali è molto discontinuo, nelle periferie è oramai insistente: le strade si puliscono grazie al vento e alla pioggia. Anche il lavaggio delle strade è affidato agli eventi atmosferici, essendo quello meccanico quasi inesistente. Curioso il fatto che il sindaco e diversi assessori nello scorso mese di agosto abbiano presenziato, con corredo di comunicati stampa celebrativi dell’evento, all’unica volta in cui è stato lavato con le spazzatrici il sudiciume del Viale (accumulato a causa del mancato spazzamento protratto per diversi giorni), come se fosse un evento straordinario da riconoscere tra i meriti della sua giunta. Lo scerbamento, che dovrebbe interessare le strade, i marciapiedi, le aiuole, le piazze e i cimiteri e qualunque altra area pubblica, è ridotto ai minimi termini e spesso il comune, nonostante si tratti di servizi previsti dal capitolato, ricorre ad appalti extra, con conseguente aggravio dei costi per le casse comunali.
Nell’ambito dei servizi di raccolta, è prevista la conduzione, lo svuotamento e la manutenzione ordinaria e straordinaria dei CCR, i Centri Comunali di Raccolta, le cosiddette aree ecologiche, in cui è possibile conferire rifiuti differenziati ed ingombranti. A tal proposito, il capitolato tra l’altro precisa l’obbligo di “pulizia interna (piazzali ed aree coperte) ed esterna dell’area ecologica (asportazione dei rifiuti eventualmente abbandonati all’esterno dell’area) e sfalcio e manutenzione delle aree a verde”, e impone alla ditta incaricata di “effettuare la pulizia giornaliera del piazzale, e delle aree immediatamente adiacenti alla struttura, con mezzi meccanici o manuali, compresa la disinfezione con appositi prodotti”. In città attualmente esiste una sola area ecologica (si fa per dire) a Fondacazzo, dove è stato spostato il CCR prima ubicato in piazza Ugo La Malfa: un modo per allontanare dalla vista dei più una struttura indecorosa. In realtà, come si può vedere dalle foto, si tratta di una discarica indifferenziata e incontrollata, con rischi non indifferenti per la salute degli utenti che hanno necessità di recarvisi.
La raccolta differenziata
Il capitolato pone obiettivi molto ambiziosi prevedendo il raggiungimento di una raccolta differenziata minima del 65%, ma le ditte aggiudicatarie in sede di miglioramento dell’offerta si sono impegnate addirittura a raggiungere l’obiettivo dell’83% (art. 9 contratto di appalto). Questo obiettivo dovrebbe essere conseguito attraverso una campagna di comunicazione e sensibilizzazione, per informare i cittadini sui comportamenti virtuosi da adottare, al fine di salvaguardare l’ambiente e le risorse naturali, favorendo l’incremento della raccolta differenziata. Di non secondaria importanza la previsione di una premialità da erogarsi agli utenti che assumeranno comportamenti virtuosi. Per coinvolgere l’utenza ad abbracciare sempre più convintamente la raccolta differenziata, l’appaltatore dovrebbe predisporre (art. 6 capitolato), con spese a proprio carico:
- La stampa e distribuzione di materiale informativo
- L’affissione di manifesti
- La distribuzione di locandine nei locali pubblici
- Incontri con la popolazione
- Coinvolgimento delle scuole presenti sul territorio
- Realizzazione di eventi pubblici, come convegni e giornate di studio
- Svolgere azioni per diminuire la produzione dei rifiuti
- Informare sull’auto-compostaggio
- Informare sulla conduzione, l’uso e l’utilità del Centro Comunale di Raccolta
- Istituire un numero verde per l’assistenza agli utenti
Di tutte queste attività, pagate dal comune con il contratto di appalto, poco o nulla è stato realizzato. Nonostante la mancanza di una campagna di informazione e sensibilizzazione, sembrerebbe che la raccolta differenziata viaggi attorno al 70% dei rifiuti raccolti. Questi dati, che parrebbero confortanti, però, hanno il limite di essere elaborati su autocertificazione fornita dalla ditta appaltatrice. Ora, considerando che la ditta, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi minimi, sarebbe passibile di multe per svariati milioni di euro, risulta quantomeno inopportuno che i dati di raccolta vengano sostanzialmente calcolati dalla ditta stessa. Eppure, ci sarebbe un meccanismo molto semplice per calcolare la raccolta differenziata effettiva: fare riferimento ai materiali differenziati venduti dal comune ai vari consorzi incaricati del riciclo delle materie seconde (vetro, plastica, carta, metalli, legno). Questi dati, però, più volte richiesti nella passata consiliatura dal consigliere Marcella Carlisi, non sono mai stati forniti: sono custoditi meglio di un segreto militare. Il dubbio, a questo punto, anche a giudicare dalla spazzatura che si vede in giro in ogni luogo, è che la raccolta differenziata effettiva sia di molto inferiore a quella ufficialmente dichiarata.
La carta della qualità dei servizi
Sul sito del comune non è rintracciabile, ma da qualche parte esiste un allegato al capitolato denominato Carta della qualità dei servizi che, ai sensi della normativa vigente, definisce gli standard di qualità e quantità delle prestazioni offerte, indica le modalità di accesso alle informazioni, le procedure per i reclami dell’utenza, le modalità di rimborso per eventuali servizi non resi. La Carta prevede anche l’istituzione di un Osservatorio per i rifiuti di cui dovrebbero far parte personale incaricato della SRR e rappresentanti delle organizzazioni sindacali, delle associazioni dei consumatori e delle associazioni ambientaliste e di volontariato, con lo scopo di monitorare il rispetto dei parametri del servizio offerto e di valutare le osservazioni e i reclami dei cittadini. Oltre all’attività di sorveglianza e controllo sui servizi di igiene urbana, l’Osservatorio si dovrebbe occupare dell’analisi sulla qualità e quantità dei rifiuti prodotti: rifiuti indifferenziati, differenziati, speciali, pericolosi, ingombranti. Si tratta di un organismo molto importante che consente, tramite le organizzazioni coinvolte, una partecipazione democratica e diffusa dei cittadini alla gestione di un servizio cruciale per la vivibilità della città. A tre anni dalla stipula del contratto di appalto, dell’Osservatorio non si ha alcuna notizia.
Altre piccole cose
- “L’appaltatore dovrà fornire ai dipendenti tutti gli indumenti di lavoro (divisa, scarpe, impermeabile, stivaloni, guanti e quant’altro necessario) come previsto dal contratto collettivo di lavoro, per la sicurezza l’igiene e il decoro del personale addetto, nonché la targhetta identificativa con il nominativo dell’operatore” (art. 9 contratto di servizio). Il mancato uso da parte del personale di vestiario, attrezzature idonee e tesserino di riconoscimento comporta l’applicazione di una multa a carico dell’azienda pari a 50 euro al giorno per ogni addetto. Ora, sappiamo tutti che i lavoratori della nettezza urbana non hanno la divisa, spesso non portano neanche i guanti e non hanno mai avuto il tesserino di riconoscimento (elemento fondamentale per eventuali reclami dell’utenza). Talvolta portano un paio di pantaloni catarifrangenti, qualcuno un giubbotto catarifrangente e, quando sono addetti alla spazzatura delle vie, tirano al seguito un ferrovecchio arrugginito a forma di carrello sgangherato. Certo così non si tutela la salute dei lavoratori e il decoro della città. Il risparmio per l’azienda non è irrilevante. Calcolando due forniture l’anno per ogni dipendente, ad un costo medio annuo di 500 euro per 100 dipendenti, fanno circa 50.000 euro all’anno. Soldi che tutti i cittadini pagano con la bolletta della Tari.
- “La ditta deve sviluppare metodi e modalità di riconoscimento dell’utente conferitore al fine di consentire l’adozione di sistemi di premialità al cittadino virtuoso”(art. 4 capitolato d’appalto). Anche questa previsione non ha avuto alcuna applicazione.
- “È obbligo della ditta attivare, a proprie spese e cura, un numero verde a cui l’utente può rivolgersi per qualunque informazione relativa al servizio, garantendone il funzionamento per 6 ore al giorno nei giorni feriali” (art. 4 capitolato d’appalto). Il numero non è mai esistito.
- Infine, mancano informazioni da parte della ditta sui punti di conferimento per lo smaltimento dei rifiuti speciali come pile, batterie esauste, toner di stampanti e fax, lampadine. Si può ragionevolmente pensare che questi materiali, pericolosi per l’ambiente, vadano ad ingrossare la raccolta indifferenziata, contrariamente allo spirito del contratto, improntato al massimo sforzo verso la raccolta differenziata e il riciclo.
I controlli
I momenti di monitoraggio e controllo previsti dalle leggi, dal capitolato d’appalto e dal contratto di servizio sono molteplici. A parte l’attività dell’Osservatorio per i rifiuti, di cui abbiamo già detto e che comunque non risulta costituito, le eventuali infrazioni possono essere rilevate dal comando della polizia municipale e dall’ufficio tecnico comunale. Il capitolato prevede, inoltre, una figura con poteri particolarmente penetranti e dotata anche di funzioni di direzione ed indirizzo nei confronti della ditta incaricata. Si tratta del Direttore dell’esecuzione del contratto nominato dalla SRR. Il Direttore può utilizzare nella propria attività il personale della SRR ed ha poteri di controllo sui lavoratori e sull’idoneità dei mezzi impiegati nel servizio; può accedere ai Centri di Raccolta senza preavviso, per la verifica dell’attività svolta, delle condizioni di pulizia e manutenzione della struttura; può effettuare ispezioni in qualunque momento in ogni luogo e per qualsiasi tipologia di servizio previsto dal contratto (spazzamento, lavaggio, scerbamento, trasporto dei rifiuti ed altro ancora); può elevare contestazioni e sanzioni a carico della ditta; può dare disposizioni ed ordini di servizio a correzione dell’operato della ditta, che quest’ultima è tenuta ad eseguire. Al fine di agevolare l’attività di controllo, la ditta incaricata del servizio deve fornire al RUP (Responsabile Unico del Procedimento ammnistrativo del comune di Agrigento) e al Direttore dell’esecuzione del contratto la strumentazione elettronica necessaria per il monitoraggio dei mezzi nelle fasi di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti. Il Direttore dell’esecuzione del contratto è, poi, una figura centrale nella fase dei pagamenti mensili alla ditta da parte del comune. Questi, infatti, potranno avvenire solo dopo l’emissione di un suo certificato che attesti la regolare esecuzione del contratto d’appalto. Nell’insieme si tratta di un apparato di garanzia e controllo formidabile. Resta da capire come sia possibile, nonostante il coinvolgimento di tante istituzioni nell’attività di controllo, con poteri così penetranti, che il servizio sia per molti aspetti carente e presenti delle falle macroscopiche, lasciando la città sporca.
Dieci domande al sindaco
In conclusione, vorremmo porre alcuni quesiti al Sindaco, nella sua qualità di massimo responsabile della città, e tramite la sua persona anche all’assessore al ramo, al Responsabile Unico del Procedimento del comune di Agrigento che segue il servizio e al Direttore dell’esecuzione del contratto. Le domande sarebbero tante, ma per fare cifra tonda ci limiteremo al numero di dieci.
- Quante ispezioni e di che tipo sono state effettuate nell’ultimo anno per verificare l’esatta esecuzione del contratto di appalto?
- Ed in particolare, è stata mai fatta una verifica sulla quantità di personale e mezzi impiegati e sulla qualità e quantità dello spazzamento?
- È mai stato verificato l’impiego nel tempo delle spazzatrici meccaniche?
- Sono mai state fatte delle verifiche sulla quantità e qualità della raccolta differenziata, andando oltre l’autocertificazione fornita dalla ditta incaricata?
- Quante infrazioni e di che tipo sono state contestate alla ditta?
- Quante multe e di che importo sono state riscosse dal comune?
- Quante tonnellate di materia riciclata ha fatturato il comune?
- C’è corrispondenza tra le quantità di materie riciclate fatturate dal comune e quelle certificate dalla ditta incaricata?
- Perché non viene istituito l’Osservatorio sui rifiuti?
- È mai stata verificata la regolarità del Centro di Raccolta di Fondacazzo?
Sono delle domande legittime e le risposte dovrebbero messere molto semplici, direi immediate. Rispondere è una cortesia, ma anche un preciso dovere morale e politico per chi democraticamente amministra la cosa pubblica. Pertanto, confidiamo sul fatto che il sindaco non voglia sottrarsi ad un doveroso cenno di riscontro.