di Nino Cuffaro
Oltre il giardino è un film cult del 1979 con lo strepitoso Peter Sellers nei panni di Chance the gardener: un giardiniere analfabeta e non più giovane, che nella sua vita non è mai uscito dall’ambiente in cui ha sempre vissuto, si ritrova improvvisamente sfrattato da quella che era stata da sempre la sua casa. In mezzo alla strada, disorientato e vestito da un disarmante candore, a causa di un incidente d’auto viene ospitato da un milionario, che lo porta casualmente a contatto con gli ambienti della grande politica e degli affari. In un mondo portato a valutare più l’immagine che la sostanza, quello che è un uomo semplice e alla buona, con un linguaggio secco e striminzito, viene scambiato per un saggio e arguto osservatore, dotato di un forte senso dell’umorismo, che si esprime per metafore e allegorie. Addirittura nel finale surreale, i maggiorenti di Washington, dovendo individuare il nuovo presidente, trovano naturale attenzionare la figura di Chance il giardiniere.
Alcune gag di Chance, il suo sguardo perduto nel vuoto, la sua inconsapevole leggerezza, la sua estraneità al contesto che lo circonda, la sua incapacità a decifrare i ruoli gli interlocutori e le domande in cui si imbatte, ricordano alcune figure barbine del nostro sindaco Franco Miccichè.
Il sindaco non è nuovo alla politica: era già stato assessore con la giunta di Lillo Firetto e da molti anni si muove nell’entourage dell’onorevole Roberto Di Mauro. Tuttavia, dai più è stato percepito come un’espressione della società civile più che della politica. Di lui si è sempre detto che è un medico apprezzato e una brava persona e quasi mai si è fatto cenno alle sue qualità politiche. Del suo passato di amministratore non si ricordano particolari atti di governo, quanto la sua disponibilità personale, arrivata anche al finanziamento di tasca propria di piccoli interventi altrimenti non realizzabili, visto lo stato di perenne crisi delle casse comunali. Nell’elezione a sindaco, si è sicuramente giovato molto di questa immagine di apparente estraneità alla casta. La sua bonarietà, il suo carattere di uomo mite, la sua semplicità di spirito, probabilmente sono state molto apprezzate non solo dagli elettori, ma soprattutto da chi lo ha scelto per candidarlo alla più alta carica comunale. Qualcuno che tira le fila e, a differenza dello sprovveduto Franco Miccichè, ha ben chiaro come gestire il potere: dagli strumenti urbanistici alle opere pubbliche; dagli acquisti comunali ai concorsi; dagli incarichi professionali alle nomine dirigenziali; e così via. Serviva però una foglia di fico dietro cui ripararsi: una faccia pulita, priva di arroganza e di fini clientelari personali, per nascondere la bassa cucina della politica maleodorante. Franco Miccichè si è prestato a questo gioco, forse per ingenuità, ma forse anche perché il potere ha un fascino irresistibile. In campagna elettorale se l’è cavata rifiutando quasi tutti i confronti con gli altri candidati, evitando così di palesare la sua modesta preparazione sui principali temi di governo della città. Da sindaco, però, è venuta fuori, tra una gaffe e l’altra, la sua totale mancanza di phisique du role. Questo si denota, innanzitutto, da due fatti: la sua persistente volontà di non rispondere alle legittime domande dell’opinione pubblica, con la scusa di essere molto impegnato a lavorare per la città; la presenza assidua dell’onorevole Roberto Di Mauro al palazzo di città a presiedere riunioni e vertici: più che un aiuto, questa intrusione ha il sapore di una sorta di tutoraggio, se non di una imbarazzante sostituzione.
Vorrei ricordare alcune vicende amministrative che hanno visto Franco Miccichè silente:
- Le mancate risposte sulla gestione del servizio di nettezza urbana (si vedano le 10 domande di Bacbac)
- Gli appelli degli artisti che si sono esibiti a Parco Icori per sollecitarne il recupero
- Le richieste di chiarimenti di legambiente e Bacbac sulle direttive ai nuovi piani urbanistici
- La petizione promossa da diverse associazioni per la pedonalizzazione di alcune aree del centro storico
- I chiarimenti richiesti sul concorso farlocco per la selezione di 30 nuovi vigili urbani
- Il concorso-colloquio (?) espletato per la nomina del nuovo dirigente dell’ufficio tecnico ( vinto dal consuocero dell’onorevole Roberto Di Mauro).
In altre occasioni il sindaco è intervenuto, ma le sue prese di posizione sono da considerarsi un vero e proprio infortunio. Penso alla proposta di creare parcheggi nelle aree rese libere in seguito al crollo di edifici nel centro storico. Se attuata, una tale sciagurata scelta porterebbe allo stravolgimento della principale risorsa immateriale della città araba: il suo reticolo viario. Roba da farci meritare l’appellativo di vandali da urbanisti e storici dell’arte.
Ma il sindaco supera sé stesso, e si avvicina alle vette sublimi toccate da Chance il giardiniere, nella vicenda dell’acquisto di quattro suv e di nove notebook con i fondi statali destinati ad attività ludico-educative dei bambini. Questa vicenda non è stata gestita direttamente da Franco Miccichè e, probabilmente, gli errori iniziali non sono farina del suo sacco, ma lui ci ha messo il carico da undici nel difendere l’indifendibile, con argomentazioni da vero gaffeur professionista. Il sindaco ha negato che ci fosse la possibilità e il tempo per svolgere le attività previste dalla destinazione originaria, mentre altri comuni siciliani le hanno regolarmente svolte; ha sostenuto che il comune fosse autorizzato dal ministero nell’acquisto dei quattro suv, mentre l’autorizzazione riguardava semplicemente beni necessari alle attività dei bambini; ha fatto il plauso ad un assessore che si è distinto per inattività e sperpero di denaro pubblico; ha considerato appropriato l’acquisto di suv invece di utilitarie ritenute, in modo bizzarro, poco decorose per i bambini.
La breve intervista di Stefania Petix di striscia la notizia è illuminante sullo stato psicologico precario del sindaco. Franco Miccichè tiene un atteggiamento difensivo, tipico di chi sa di avere torto: la voce è rotta dall’emozione, l’argomentare appare poco lucido, il linguaggio non verbale è inequivocabilmente intriso di grande imbarazzo. Infine, il suo eloquio assume le forme di un italiano improbabile. Alla domanda della Petix che chiede perché il comune abbia comprato i suv, il sindaco risponde con espressione incredula: “un’utilitaria dovevamo prendere?”
Perché no? ribadisce la giornalista. “Ah! (si meraviglia il nostro) deve fare girare dei bambini con un’utilitaria?”
“Perché cosa hanno i bambini contro l’utilitarie? Costano meno e potevate comprare più auto” incalza l’intervistatrice.
Franco Miccichè prova a replicare, sempre più all’angolo, visibilmente stressato, in un imbarazzo misto a insofferenza incontenibile e in un italiano non proprio elegante: “Ma tanto quei soldi si dovevano spendere, se no li perdeva (sottinteso: il comune)”.
Il tenero Miccichè dimentica di chiarire che per quei suv non esistono in pianta organica autisti sufficienti a guidarli (c’è un solo autista), che mancano i seggiolini per il trasporto dei bambini, che non è stato emanato ancora un regolamento per la concessione d’uso alle onlus che potrebbero farne richiesta, che da un mese quei suv stanno parcheggiati in attesa di qualche passabile idea sul loro uso. Insomma, uno spreco bello e buono.
Il sindaco imbarazza i suoi concittadini che guardano la trasmissione, ma come tutte le persone in difficoltà suscita anche empatia. Ha l’aria di un distinto gentiluomo, ma inciampa con le parole, esita, indugia, lo sguardo smarrito, quasi ad invocare clemenza, immerso in una sofferenza via via più palpabile. Verrebbe da dire a qualcuno che gli sta vicino, che gli vuole bene: prendetelo per il braccio, aiutatelo ad uscire da questo ginepraio, toglietelo da questo ambiente di marpioni, di funzionari e politici spregiudicati, restituitelo a tempo pieno al prestigio, al decoro, alle gratificazioni della sua professione di medico.
Se il giardiniere di Peter Sellers racconta una favola moderna, con una satira leggera e godibile sulla cecità del potere, il giardiniere agrigentino racconta, senza alcuna levità, la storia triste di una politica che procede a testa bassa senza alcun senso di responsabilità verso il bene pubblico.
(Comunque, a ben guardare, Franco Miccichè un po’ somiglia a Peter Sellers)