di ManinelKaos
Oggi siamo alla vigilia dell’anno nuovo, che non è il Nouruz persiano e curdo ma la nascita del profeta, 1442 anni fa e tutti sono in fibrillazione, la città non smette di muoversi in maniera convulsa più del solito. In generale, quando sei su di un taxi, ti capita che dopo qualche minuto la persona si dimentichi di te e pensi solo a quella lotta costante per guadagnare quel centimetro in più sugli altri. Qui funziona così, « Ana raees gomhuriet nafsi», mi ha detto una volta uno di loro, parlandomi del modo in cui si guida al Cairo. Vuol dire in sostanza che ciascuno è capo della propria repubblica, detto con le nostre parole: ogni testa è un tribunale. Certe volte ti va bene e trovi uno di quei tassisti che riesce ad averla vinta senza troppa fatica, altre, come in questo caso, sei con quello che prende tutte le scaffe, perde tutti i confronti con le altre macchine e comincia ad inveire contro tutto e tutti. A quel punto ricordargli che esisti può calmargli i nervi. Prendere un taxi non è una scelta ma una necessità. I trasporti pubblici sono del tutto fuori controllo. Gli autobus di linea, vecchi di almeno 30 anni, vanno ancora a naftalina grezza e al loro passaggio cospargono di fuliggine tutti quanti con una nube nera dall’odore insopportabile. Sono stracolmi di gente, ma soprattutto non hanno fermate e si sale e si scende al volo in un modo che richiede delle competenze acrobatiche molto tecniche, tanto che coloro che riescono a salire e scendere facilmente dagli autobus potrebbero aggiungere questa competenza al curriculum per trovare lavoro come stunt-man. Quanto alla metropolitana, sembrerebbe funzioni piuttosto bene, ma non copre tutte le zone e, ad esempio, nel quartiere in cui vivo, è in lavorazione da una decina d’anni. Le biciclette non hanno uno spazio dedicato e nonostante siano il mezzo di trasporto più conveniente data l’assenza di salite e di emissioni, sono nel sottoscala della piramide sociale della mobilità. I taxi invece sono ovunque. Costantemente alla ricerca di passeggeri, ti strombazzano sistematicamente quando sono dietro di te, sperando in questo modo di trasformarti da pedone a cliente. Cosa che ottiene puntualmente l’effetto contrario. E quando non sono i taxi classici a congestionare il traffico, sono delle macchine normali, visto che Uber è onnipresente ma non lo puoi riconoscere. Uber qui ha gioco facile perché in una città così grande è difficile persino spiegare dove devi arrivare esattamente, mentre con la localizzazione del GPS, spiega tutto lui.
Per mettermi al riparo dalla guida spericolata del tassista cerco di dissuaderlo dal continuare questa lotta persa in partenza dal basso della nostra 128 vecchia di mille anni, domandandogli cosa si mangia per festeggiare l’anno nuovo e augurandogli buon anno in anticipo. I suoi occhi si illuminano e nella sua bocca si disegna un sorriso. Adesso è il ritratto della calma, rallenta e assume un atteggiamento colloquiale, mi spiega che di giorno si digiuna e si prega e poi al tramonto si rompe il digiuno con una zuppa di carne; E lo vedi che sta già pensando a domani, a quel giorno di riposo. Avrà almeno 60 anni e si vede che li porta con fatica, e andare in giro con la sua 128 dall’asse traballante non è un modo per arrotondare, ma l’unica maniera per trovarsi a tavola quella zuppa di carne. Adesso si è calmato, la nostra vita non è più in pericolo. Posso di nuovo guardare dal finestrino questa città che cambia d’aspetto ad ogni centimetro, offrendomi una simultaneità di contrasti, di colori, di eventi che si sfiorano. Oltre al flusso di automobili che caoticamente avanzano, vi è un mondo di gente che svolge le attività più disparate e gli scenari più inverosimili. Chi consegna il pane in bicicletta, tenendoselo pericolosamente sopra la testa, chi raccoglie la plastica e i cartoni per rivenderli un tanto al chilo, chi osserva dalla propria finestra, gruppi di amici che discutono in piedi di fronte a un forno, poliziotti fermi sotto il sole con lo sguardo perso nel vuoto, gente che arrostisce carne allo spiedo, chi vende scarpe e magliette in strada con un megafono che ripete una frase registrata continuamente, chi fa una siesta sdraiato per terra su di un marciapiede, chi gioca con un gatto che cerca di dormire sopra il tetto di una macchina forse abbandonata. La complessità di questa città è ipnotica.
Oggi la gente si fa sorrisi di intesa in strada, sotto la mascherina; va a comprare vassoi di dolci in mezzo al caos più totale, nel traffico più intenso e inquinante che esista al mondo. Domani è l’anno nuovo, un 1442 che guarda il 2020 sul quale siedono tutti gli anni precedenti che non hanno smesso di essere presenti nei costumi, nelle architetture, nel linguaggio, nelle macchine. Epoche sovrapposte che cercano di coesistere, di riconoscersi, di non scontrarsi.