di Tano Siracusa
La guerra che vediamo sugli schermi, che immaginiamo leggendo i racconti degli inviati, guardando le immagini dei fotografi, non è la guerra. Non è la guerra che si combatte in Ucraina.
Noi viviamo in una realtà parallela, dove si usano le stesse parole per indicare cose diverse.
L’altro mattina in un bar al centro di Agrigento un uomo alto, con i capelli corti, si è rivolto in un buon italiano ai due baristi: “Allora, quando prendete le armi e venite a combattere in Ucraina?”.
Uno dei due baristi ha subito risposto ridendo : “Sì, armamuni e partiti”.
L’uomo non non ha riso e andando via ha aggiunto serio qualcosa, una frase veloce in cui non si è persa nel rumore la parola pane.
Per un attimo nella nostra realtà ha fatto irruzione quell’altra realtà di parole e immagini che chiamiamo guerra, rendendo evidente in quello scambio di battute l’enormità della distanza che separava il senso delle stesse parole usate da quell’uomo e dai due baristi.
Parole semplici, che sembrano inequivoche. Parole come guerra, pane, normalità.