di Vito Bianco
A molti in questi giorni sarà venuto in mente Nietzsche e la querelle dei postmoderni sui fatti che non esistono esistendo solo interpretazioni, e con lui forse anche il buon Baudrillard ultimamente un po’ dimenticato, la sua idea che il surrogato mediatico è da tempo già in grado di sostituire la realtà o crearne una alternativa a misura degli interessati.
E allora potremmo chiederci: la guerra che ci scorre sotto gli occhi dal mattino alla sera, si sta combattendo davvero, o sono solo immagini prive di realtà?
Per noi e i profughi e i morti sotto le macerie non ci sono dubbi sul fatto che la guerra sia dolorosamente reale; per la grande maggioranza dei cittadini russi in Ucraina non si sta combattendo nessuna guerra, è in corso una “operazione militare speciale” per “denazificare” il Paese che forse incontra qualche difficoltà ma nel corso della quale non è morto né morirà nessuno. E se qualcuno dovesse vedere immagini di distruzione, sappia che sono il frutto avvelenato della propaganda occidentale per seminare la discordia tra i russi e gli ucraini e abbattere il morale della cittadinanza.
Se chiami operazione speciale una guerra, la guerra smette di esistere, anche se la persone e i soldati non smettono di morire. Molti, moltissimi russi ci credono. Hanno alle spalle vent’anni di informazione putiniana, e prima settanta di informazione controllata dal partito unico, e prima ancora qualche secolo di severa e capillare censura zarista sulla stampa e la libera circolazione delle idee, come potrebbero non credere alle notizie inventate della televisione di Stato?
E come potrebbero di conseguenza sospettare che l’operazione speciale è in verità una efferata guerra di aggressione, un calcolato piano di invasione, l’ultimo (forse l’ultimo) tassello del disegno egemonico promosso e perseguito da Putin e dai suoi sodali? È una storia che si ripete: solo che stavolta abbiamo deciso che “la guerra c’è”, che la Crimea e la Cecenia passi, e anche io bombardamento sugli ospedali siriani, ma l’Ucraina no, non può e non deve passare.
Quindi c’è una guerra che per chi l’ha iniziata non è una guerra; quindi sembrerebbe vero che esistono solo interpretazioni (o rappresentazioni) i fatti essendo per l’appunto opinabili, persino i più evidenti, suscettibili come sono di rivecere una diversa nominazione, oppure d’essere preceduti da una negazione, dalla paroletta “non” alla quale Paolo Virno ha dedicato qualche anno fa un libro molto bello (Saggio sulla negazione, Bollati Boringhieri), grazie alla quale possiamo perfino negare l’umanità della vittima (“non è un uomo”) e la vittima stessa. Inquietante privilegio dell'”animale loquace” direbbe Virno, filosofo ironico.
Così come è ironica (postmoderna?) la coincidenza temporale che mette in connessione la “non guerra” dell’autocrate russo con il “non matrimonio” dell’amico Silvio, compagno di bevute e di colbacco. La tragedia e la farsa si danno ancora una volta la mano: il vestito bianco della finta sposa, la torta, l’elogio di Salvini da parte del falso sposo (“è l’unico vero leader”), l’altro compare italiano, quello che avrebbe scambiato due Mattarella con mezzo Putin. Verrebbe voglia di ridere se, come al solito, non ci fosse da piangere. Se la realtà non fosse tanto resitente e le vittime non fossero, a dispetto della propaganda di regime e delle adunate allo stadio, vere e incancellabili.
(Coda, a proposito di pianto. Sul Domani di domenica c’era una interessante intervista di Daniela Preziosi al vescovo metropolita di Bologna Zuppi.
Dice a un certo punto la giornalista: “Non le chiedo cosa fa Dio mentre in Ucraina si muore”. Zuppi: “E io le rispondo lo stesso. Piange”. Se il vescovo ha ragione, il Padreterno gli ultimi millenni ha passato quasi tutto il suo tempo a piangere, ho pensato, chiudendo il giornale e avviandomi sconsolato verso casa).