di Luisa Costa Gomes
Il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge ha finito per crearmi – involontariamente ammetto – un problema che ascende quasi alla dignità di un enigma. Nella sua Biographia Literaria , del 1817, cita un possibile catalogo di Anti-Mnemoniche che Averroè avrebbe pubblicato nel secolo XII. Di passaggio, e forse senza accorgersi che i tre quarti della sua popolarità sono dovuti, per buoni o cattivi motivi, alla stampa dell’epoca, Coleridge scrive che “l’abitudine di leggere i giornali può essere aggiunta all’elenco degli anti-mnemoniche, o debilitanti della memoria, che Averroè ha stabilito”.
Questo elenco include “mangiare frutti acerbi; contemplare nuvole o spostare cose sospese nell’aria; cavalcare in una folla di cammelli; risate frequenti; ascoltare barzellette e aneddoti; l’abitudine di leggere le lapidi nei cimiteri”. Il mistero è che un tale catalogo non si trova nelle opere di Averroè, e non si spiega – se non per una necessità scherzosa che è di per sé piuttosto anti- mnemonica – perché Coleridge avrebbe inventato una tale enumerazione e una tale attribuzione ad Averroè.
Saltando, tuttavia, il problema de facto, l’enumerazione dei disturbi della memoria (a parte il “mangiare frutti acerbi”, che ricorda alcune teorie umorali) ha una certa consistenza. “Contemplare le nuvole o muovere cose sospese nell’aria” è l’ultimo esempio di pigrizia in cui l’intelletto è disattivato o addirittura assente. Quando contempli le nuvole, sogni ad occhi aperti, non pensi. “Andare in una folla di cammelli”, se la traduzione è corretta, non è esattamente un’attività che favorisca la memorizzazione e il successivo richiamo. Andare al trotto in mezzo a una folla di cammelli è l’estremo opposto della contemplazione delle nuvole, è il tumulto, la vertigine che non permette la giusta ritenzione. D’altra parte, le antimnemoniche seguente sono estremi umoristici che psicologicamente non predispongono a una memorizzazione adeguata: da un lato, le risate frequenti, lo spasmo che segue la battuta, la risatina dell’attività passiva di ascolto di peripezie, incidenti e aneddoti; sul lato opposto e nero della stessa scala, la lettura delle lapidi nei cimiteri, la tristezza ripetitiva delle morti singolari: questo è morto, e questo è morto anche lui, e anche quello. Quando Coleridge aggiunge all’elenco delle cose che fanno male alla memoria la lettura di “opere di carattere periodico”, giornali e riviste, vede benissimo che il tratto comune di tutte gli antimnemoniche (a parte “mangiare frutti acerbi” , forse…) è il suo carattere frammentario.
Le nuvole sconnesse che passano una dopo l’altra sullo sfondo del cielo, la folla confusa di cammelli, le risate nervose che si susseguono e un altro aneddoto presto dimenticato, un racconto, un incidente senza senso dopo l’altro, la vertigine del fait divers . Il frammento vive per se stesso, non ha bisogno di valori o contesto. Intestazioni e slogan fanno la loro storia.
Vivendo oggi, Coleridge aggiungerebbe rapidamente l’attività di guardare la televisione all’elenco degli agenti che riducono la memoria. Guardare la televisione è l’anti- mnemonica per eccellenza: è come guardare le nuvole in una carovana di cammelli in fuga, mangiando frutti acerbi. È un’attività eminentemente frammentaria, di cose fuori contesto mostrate una dopo l’altra. Non mostra il singolare, che il singolare spaventa, ma il particolare impoverito dal formato e dalla messa a fuoco.
Coleridge conclude il capitolo VII enumerando anche i rafforzatori della memoria: “una sana logica (…); la conoscenza filosofica dei fatti, nel rapporto di causa ed effetto; un temperamento allegro e comunicativo che ci dispone a notare le somiglianze e i contrasti tra le cose (…); coscienza pulita; condizione libera da ansie; buona salute e, soprattutto (per quanto riguarda il ricordo passivo) una sana digestione; queste sono le migliori, sono le uniche, arti della memoria”.
(L’articolo è stato pubblicato in Cismática, Diário de Notícias , 2003)