(Il plastico dell’aeroporto della Valle dei Templi)

Si riparla insistentemente in questi giorni, in concomitanza con l’attribuzione del titolo di capitale italiana della cultura, dell’aeroporto di Agrigento. Tutti lo vogliono: il sindaco, i sindacati, il commissario del libero consorzio della provincia, la Camera di Commercio, il Codacons, l’ordine degli Architetti.  Sono 14 i consigli comunali che hanno approvato la delibera di indirizzo per la realizzazione di un aeroporto: Agrigento, Alessandria della Rocca, Bivona, Caltabellotta, Camastra, Casteltermini, Cianciana, Grotte, Joppolo Giancaxio, Porto Empedocle, Santa Elisabetta, Sant’Angelo Muxaro, Santo Stefano Quisquina e Comitini. È pronta al decollo anche tutta la deputazione agrigentina, senza distinzione di schieramento  politico: si va dall’uomo forte della destra locale, l’on. Calogero Pisano, alla pentastellata Ida Carmina, alla piddina Giovanna Iacono. Per l’occasione, si è anche costituito un non meglio precisato “Comitato promotore dell’aeroporto centro meridionale della Sicilia”.

La motivazione principale di tanto corale entusiasmo risiede nella considerazione secondo la quale la mancanza di un aeroporto ha contribuito a lasciare il nostro territorio in una condizione di marginalità e di arretratezza economica, mentre la sua realizzazione costituirebbe un fondamentale fattore di sviluppo, soprattutto facilitando l’incremento dei flussi turistici.

Allo stesso modo la pensano in più parti della Sicilia dove, oltre ai quattro aeroporti funzionanti di Catania Palermo Trapani e Comiso, sono stati costituiti negli anni passati, da comuni ed enti vari, la società per l’aeroporto di Gela e la società per l’aeroporto delle Eolie (da costruire in provincia di Messina).
Qualcuno, infine, ipotizza anche uno scalo intercontinentale nella pianura di Agira, una sorta di hub del mediterraneo, da costruire nella zona industriale di Enna, per favorire i rapporti economici con l’oriente e il nord Europa.
Insomma, se questi progetti si realizzassero, tutti i siciliani avrebbero un aeroporto a due passi da casa.


(Il plastico dell’aeroporto Valle dei Templi)

Un breve riassunto

Di aeroporto ad Agrigento si parla dagli anni ’60, ma Il primo atto concreto che alimenta le speranze di realizzazione dello scalo è del 1971, quando nella legge n.111, che prevedeva la realizzazione degli aeroporti di Firenze, Napoli e Olbia, per volere dell’allora deputato empedoclino Giuseppe Sinesio, viene inserito anche l’aeroporto della Sicilia sud-occidentale. Successivamente verranno individuati diversi siti utili (la piana di Licata, Racalmuto, Naro, Misilina), ma non si andrà oltre le mere ipotesi progettuali. Nel 1995, soprattutto per l’attivismo del presidente della Camera di Commercio Francesco Paolo Di Betta, l’ipotesi comincia a prendere forma: l’aeroporto di Agrigento viene inserito nel “Piano regionale dei trasporti” e viene costituita la Società Aeroporto Agrigentino Valle dei Templi (AAVT) a capitale interamente pubblico (inizialmente con socio unico la Camera di commercio, dal 2001 affiancata della Provincia Regionale che rileva una quota dell’80%), con l’incarico di progettare, costruire e gestire il futuro aeroporto della città. La presidenza viene affidata a Marcello Massinelli (amico, consigliere economico, factotum del Presidente della regione Salvatore Cuffaro) che bandisce una gara da 360.000 euro per la progettazione dell’impianto. Il sito prescelto è quello di Racalmuto, in una zona collinosa  con qualche spunto roccioso, tanto cara a Leonardo Sciascia, suscitando la protesta degli ambientalisti, del sindaco della città Gigi Restivo e della vedova dello scrittore, oltre che l’ilarità del giornalista del corriere Gian Antonio Stella per la decisione di costruire un aeroporto in collina, che dovrebbe comportare uno sbancamento ciclopico di 2 milioni e 800 mila metri cubi di terra e roccia.

La prima bozza del progetto si presenta lacunosa e viene sonoramente bocciata dall’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) che rileva errori nella larghezza della pista e soprattutto ritiene inverosimile la previsione di 700.000 passeggeri l’anno (praticamente quasi il doppio degli abitanti dell’intera provincia).  Viene, quindi, predisposto un nuovo progetto che fa lievitare il costo da 36 a 70 milioni di euro, mentre gli oneri della progettazione passano da 360.000 euro iniziali a 960.000 euro. Nel febbraio del 2007, l’allora presidente della provincia Vincenzo Fontana annuncia pomposamente, in una conferenza stampa televisiva, in cui mostra il plastico dell’opera (Bruno Vespa successivamente dev’essersi ispirato a lui), che l’aeroporto è cosa fatta: presto verrà individuato un partner privato per finanziare e cogestire lo scalo, che sarà concretizzato entro 18-24 mesi. Gli fa, però, subito eco il presidente dell’Enac, Vito Riggio: “Non esiste nessun aeroporto di Agrigento. Non c’è alcuna pratica istruita presso l’Enac. Comunque – continua perentorio – alla Sicilia non serve un nuovo aeroporto, le strutture esistenti sono sufficienti”. Quindi, in verità, non è mai esistito un progetto esecutivo dotato di tutte le autorizzazioni degli enti preposti alla navigazione aerea. Da lì a qualche anno, l’AAVT verrà sciolta avendo sperperato circa 2,5 milioni di euro per i costi progettuali, le consulenze (si sa: il nostro è un paese fondato sulla consulenza), le indennità corrisposte al presidente e al consiglio di amministrazione, i gettoni di presenza, i rimborsi spese. 

(Tutti per l’aeroporto)

La sostenibilità dell’aeroporto 

Ma, a parte i dubbi sulla zona di Racalmuto prescelta per l’insediamento, è economicamente sostenibile la presenza di un aeroporto al servizio della città di Agrigento e dei comuni vicini?

Il piano finanziario del progetto dell’AAVT si basava su due dati fondamentali: nell’analisi sulle prospettive di realizzazione e di sviluppo dell’aeroporto civile di Agrigento si ipotizzava che per il 2025 in provincia di Agrigento arrivino 5.700.000 visitatori (oggi sono meno di un terzo) e di questi, circa 4.000.000 giungano tramite l’aeroporto. Con questi dati di traffico, lo scalo di Agrigento avrebbe avuto lo stesso peso che oggi hanno in Italia aeroporti come quello di Torino, di Bari o di Genova. Inoltre, la provincia sarebbe invasa da turisti (quattromilioni) che non sapremmo dove sistemare, vista la modesta presenza di strutture alberghiere.
Conseguentemente a queste previsioni ottimistiche, si ipotizzava un formidabile scenario economico indotto dalla presenza dell’aeroporto, con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro: da un minimo di 34.000 ad un massimo di 109.000. La disoccupazione ad Agrigento sarebbe stata praticamente stroncata: neanche Berlusconi avrebbe saputo fare di meglio nelle sue promesse.
Si tratta, evidentemente, di previsioni che, più che ottimistiche, sarebbe giusto chiamare velleitarie. Sono numeri privi di alcun fondamento, richiamati per giustificare un progetto privo di ogni logica economica. Situazione, questa, ben chiara ai promotori che, nel documento di programmazione, al punto 10 affermavano: “Niente vieta che nel giro di qualche anno l’aeroporto possa essere privatizzato, impedendo che eventuali perdite di esercizio vengano caricate sul bilancio pubblico.” Come se gli imprenditori facessero la fila per rilevare aziende in perdita.
Invero, l’aeroporto di Racalmuto, se mai si realizzerà, sarà simile, per bacino di utenza, per dimensioni, per volumi di traffico, all’aeroporto di Trapani e a quello di Comiso: piccoli scali, cronicamente deficitari, disertati dalle più grandi compagnie aeree, con pochissimi collegamenti, con qualche centinaia di migliaia di passeggeri, quasi vuoti per buona parte dell’anno, che si reggono grazie a rotte sovvenzionate con denaro pubblico.
Sarebbe meglio utilizzare gli eventuali fondi disponibili per le opere più sensate: il raddoppio della ferrovia Lercara- Agrigento (il raddoppio del tratto lercara-Termini Imerese è già previsto nella Palermo-Catania); l’ammodernamento della ferrovia Agrigento-Caltanissetta; nonché per accelerare l’ammodernamento lentissimo della statale Palermo-Agrigento. Almeno il raddoppio della statale Agrigento-Caltanissetta è quasi concluso e l’aeroporto di Catania è più vicino. 

(Il volo di Dedalo)

I turisti e l’aeroporto 

Il tema dei costi di gestione viene quasi sempre eluso dai sostenitori dell’aeroporto, ad eccezione dell’on. Calogero Pisano (onore al merito) che onestamente prende atto dell’impossibilità di una profittabilità dell’impianto, ma ne sostiene comunque la necessità, vista la sua funzione di interesse pubblico preminente.

Il mantra degli “aeroportisti”  vuole che quella pista sia l’unico strumento per far decollare il turismo e, di conseguenza, l’intera economia della nostra provincia. Questa tesi non sembra ragionevolmente sostenibile, perché a ben vedere l’odierno turismo di massa è imperniato su pacchetti che prevedono un approccio al territorio in maniera itinerante, con tappe nelle principali località della zona interessata. Si organizza il soggiorno in una zona attrezzata con le opportune infrastrutture ricettive (in primis alberghi) dalla quale poi irradiare le visite nei principali siti del circondario con permanenza ridotta. In questo format organizzativo prevalente, è assolutamente indifferente che l’aeroporto di arrivo sia a mezz’ora o a due ore di distanza. Questo spiega perché il turismo è cresciuto molto negli ultimi anni in provincia, nonostante i mezzi e le strade per raggiungere la città non siano particolarmente efficienti. La Valle dei Templi nell’ultimo anno pre-pandemia ha sfiorato il milione di visitatori ed ha raggiunto in testa il teatro antico di Taormina per numero di presenze. Sicuramente questa crescita, oltre ai meriti archeologici e paesaggistici indiscussi della Valle dei Templi, da qualche anno validamente affiancata dal giardino della Kolymbethra, è anche dovuta ad alcune recenti mode dei social media che hanno decretato il successo internazionale della Scala dei turchi e, sia pure in maniera minore, della costa di Punta Bianca. Ci ha messo del suo anche il successo del commissario di Vigata Salvo Montalbano, le cui indagini più di una volta hanno avuto come affascinante scenario proprio il parco archeologico e, più di recente, lo sceneggiato Makari. Un immaginario letterario e televisivo che è stato un potente messaggero non solo di siti culturali e ambientali straordinari, ma anche di uno stile di vita, di una cultura del cibo, di una dimensione altra delle relazioni umane, del tempo e dello spazio. Insomma, il fascino del saper vivere mediterraneo; cioè, la bellezza della contaminazione continua di tradizioni, miti, riti e simboli sui quali poggia da millenni la nostra cultura. Quindi, la via per incrementare le presenze turistiche della nostra provincia è proprio quella di tutelare e valorizzare meglio il nostro patrimonio materiale e immateriale che, invece, la continua aggressione al territorio e alle sue peculiarità (abusivismo edilizio, scelte di sviluppo che devastano il territorio, incuria, chiusura sine die di monumenti e complessi architettonici, carenza di manutenzione, trascuratezza nel decoro, gestione clientelare, etc..) mette a rischio. 

Perché tutti vogliono l’aeroporto?

Parlare di aeroporto è facile e comodo per la nostra classe politica, fa il paio con la discussione per il ponte sullo stretto di Messina: quando non si hanno argomenti solidi per affrontare lo stato comatoso dei servizi che quotidianamente vengono forniti ai cittadini, è utile sviare l’attenzione con il ricorso alle chimere e magari trovare un eccellente capro espiatorio a cui attribuire la responsabilità del mancato sviluppo economico, tanto desiderato e promesso a piene mani nelle varie campagne elettorali.

Perché, invece, questa pletora di deputati, sindaci, assessori, esponenti di vari enti e comitati, non si occupa più attentamente del decoro della città, del suo servizio di pulizia, della cura del verde pubblico, della manutenzione delle strade, dei trasporti urbani inefficienti (pensate un po’ al tempo necessario ad un turista per recarsi con i mezzi pubblici dal Villaggio Mosè o da San Leone al parco pirandelliano, o per raggiungere la Scala dei turchi o la spiaggia di Punta Bianca), dell’impreparazione a gestire eventi di massa (vedi la festa del Mandorlo in fiore e il recente giro ciclistico della Sicilia), del centro storico abbandonato, dei palazzi chiusi, dei musei comunali organizzati (?) in modo penoso?

Occuparsi di tutto questo è sicuramente un modo per attrarre maggiore turisti, oltre che migliorare la vita quotidiana dei residenti, ma comporta impegno e competenze che quasi sempre latitano.

Meglio aggrapparsi all’aeroporto.   

Magari un piccolo e inutile aeroporto, un “aeroporto quaquaraquà”, come l’ha battezzato Gian Antonio Stella, con un azzeccatissimo riferimento sciasciano, volendo riferirsi, più che alle misere prospettive dell’opera, alle qualità di quella classe dirigente che ne sosteneva la necessità e l’urgenza.

Poi, se non avremo l’aeroporto, potremo sempre rifugiarci nel mito per coltivare il fascino del volo, pensando che questa terra è stata l’approdo accogliente del primo trasvolatore della storia, quel Dedalo fuggiasco che da Creta planò sulla reggia di Cocalo, il re sicano della mitica Camico, a due passi dall’odierna Agrigento.