Il punto

in tanti punti della settimana

di Daniele Moretto

Giorgio Morandi

·     La concretezza del popolo. Per comprendere i risultati del 28-29 maggio, così diversi da quelli di appena due settimane prima, non si può non tener conto di un elemento decisivo: l’alluvione in Romagna. Quello italiano è un popolo strano, pieno di limiti e di abitudini autolesionistiche, ma sa anche essere concreto e inviare – dalla cabina elettorale – segnali semplici e chiari. È anche un popolo stanco di disastri, di lutti, di ritardi e di tutto il campionario di aberrazioni dovute alla strafottenza dei politici. Quest’ultima tornata elettorale è stata una sentenza, come il diluvio è stata una condanna. Le voci sulle presunte inadempienze del governatore Bonaccini (che non è uno strafottente), sulla cementificazione selvaggia in quel territorio, hanno avuto il loro effetto. Anche la nomina di commissario potrebbe saltare, e sarebbe, ça va sans dire, un altro colpo politico. Per una semplice associazione d’idee, la frana politica ha colpito tutto il PD e la sua giovane segretaria (vincitrice peraltro su Bonaccini alle primarie) fresca di energie ma ancora non dotata della stessa concretezza degli italiani. Detto tutto ciò, anche di queste elezioni il vero vincitore è stato il partito dell’astensione.

·     Una semplice domanda. Chi soffia sul fuoco del Kosovo?

·     Referendum. Non uno qualsiasi, “il” referendum. All’origine di tutto. Un risultato sempre trascurato e invece molto significativo. “Nel 1946 gli aventi diritto al voto erano 28 milioni (28.005.449), i votanti furono quasi 25 milioni (24.946.878), pari all’89,08%. I voti validi 23.437.143; di questi 12.718.641 (pari al 54,27%) si espressero a favore della Repubblica, 10.718.502 (pari al 45,73%) a favore della Monarchia” [dal sito del Quirinale]. Dunque uno scarto di “soli” due milioni di voti. Tutto il sud avrebbe voluto restare suddito. Prono al trono. Come mai sazio di calcinculo. La punta massima per la Repubblica si ebbe in Trentino (85%), la punta minima in Campania (23%). Due paesi diversi condannati, per certi versi, a convivere. Quanto livore civile ha sobollito nei decenni? Ma soprattutto. Quanta fatica nella costruzione di un paese che quasi sfrontatamente dichiara di non voler essere unito!

·     Tina Turner e la pratica. Un’altra rock-star ha lasciato il dolce mondo. Dolce?! direte voi. Chissà se ci vorrebbe tornare. Dopo averne passate di cotte e di crude. Un po’ come tutti, del resto. Che cosa ci ha lasciato Anna Mae Bullock, al secolo Tina Turner, oltre alle ruggenti canzoni? Il messaggio che la forza interiore è indomabile da qualsiasi sopraffazione, da qualsiasi violenza. Ma anche che appoggiarsi a una pratica può aiutare, o meglio, contribuire ad aiutarsi. Pure lei ha guardato all’Oriente. La sua vita cambiò dal giorno in cui iniziò a “praticare”, cioè recitare il mantra buddhista Nam myoho renge kyo, forse il più conosciuto al mondo. E che lei ha contribuito a diffondere realizzando arrangiamenti moderni di questo e di altri mantra, struggenti per l’intensità del suo “canto”, che ha reso un po’ più dolce l’esistenza a molte persone che l’hanno via via ringraziata nei social e salutata in questi giorni, apprestandosi lei a un nuovo viaggio.

·     L’aggettivo “dolce” in Dante. Basti pensare al Dolce Stil Novo, tutto tranne che una sdolcinatura sentimentale; insieme a “novo” segna e rivendica un’avanguardia poetica. Accostato a “mondo” ne sottolinea la natura benigna, agevole, al contrario della severità dell’inferno (ovvero della prigione passionale), dell’aere maligno dicui parla Francesca da Rimini nel quinto canto. Solo nella Divina Commedia l’aggettivo torna ben 106 volte, nelle altre opere 84, per un totale di 190 luoghi [Enciclopedia Dantesca Treccani].

Ma quando tu sarai nel dolce mondo,

priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:

più non ti dico e più non ti rispondo.

(Inf. VI, 88-90)

6 Giugno 2023

“Il punto” n. 9

rubrica di Daniele Moretto

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Di Bac Bac