di Nino Cuffaro
Ai confini del centro abitato, fuori vista, ignorato, scordato quasi da tutti, nel più totale abbandono, il Parco dell’Addolorata (o Parco Icori) si degrada sempre di più.
Nato dopo la frana del ’66, con il bosco di macchia mediterranea e le strutture ricreative (teatro all’aperto, arena cinematografica, pista da pattinaggio, terrazzamenti concepiti come passeggiate-belvedere, punti panoramici sopraelevati) costruite con palificazioni ben piantate al suolo, il Parco viene progettato con lo scopo di costituire un valido sostegno al colle di Girgenti, contro il dissesto idrogeologico che ne minaccia lo scivolamento a valle.
Oggi si presenta con molte strutture ammalorate che mostrano i ferri del cemento armato, con le strade spaccate dalle piante spontanee, l’erba secca che copre le aiuole e il sottobosco e, soprattutto, colmo di mini-discariche di rifiuti di ogni tipo. Una bomba ecologica: in caso di incendio, il bosco, alimentato dalle sterpaglie e dai rifiuti, divorerebbe in pochissimo tempo il parco, mettendo in serio pericolo l’intera fascia boschiva che fa da corolla alla città e minacciando anche il centro abitato.
Pur in questo stato disastrato, il Parco mostra la sua grande bellezza: dalla veduta panoramica della campagna agrigentina, alla visione del mare africano che spazia dal molo di Porto Empedocle alla zona di Punta Bianca. Inoltre, rappresenta un elemento di continuità territoriale e di connessione sentimentale straordinario tra la città antica, distesa sulla valle, e la città arabo-normanna abbarbicata sul colle di Girgenti.
Così com’è, oggi non è pienamente fruibile, anche se sparuti visitatori, soprattutto sportivi, si aggirano tra i suoi viali. A partire dalla sua consegna agli inizi degli anni ’90, il parco è stato parzialmente inaugurato più volte, ma non è mai stato pienamente collaudato e dichiarato agibile in tutte le sue parti. Lo spazio-cinema, il teatro e la pista di pattinaggio non sono mai stati utilizzati.
Ma perché questo luogo, che potrebbe essere una perla della città, non è oggetto di attenzione e recupero da parte degli amministratori cittadini? La vulgata comune vuole che il municipio non disponga di fondi necessari per il recupero dell’area. Questo corrisponde al vero. Le casse comunali non dispongono certo dei milioni di euro necessari per la ristrutturazione del parco. Ma, a parte la possibilità sfumata di utilizzare i fondi del PNRR (Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa) destinati alla rigenerazione urbana, il comune avrebbe la possibilità di sfruttare i finanziamenti ordinari previsti della programmazione del FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale). È di pochi giorni fa la notizia che la regione siciliana dovrà restituire all’Europa a fine anno oltre un miliardo di euro non utilizzati per il Piano FESR 2014-2020. Di questi fondi persi, 65 milioni riguardavano finanziamenti per opere contro il dissesto idrogeologico e 21 milioni fondi per la messa in sicurezza di strutture di proprietà degli enti locali: entrambe le misure, per esempio, potevano essere idonee a finanziare il recupero del Parco dell’Addolorata. Purtroppo, nessun progetto di recupero è mai stato elaborato in questi anni e in mancanza di progetti esecutivi non si ottengono finanziamenti. E qui scatta il secondo alibi: il Comune non ha un ufficio tecnico attrezzato ad elaborare progetti complessi e non dispone di fondi per la progettazione esterna, si dice. Anche questa obiezione non è accettabile. La giunta Miccichè dopo pochi mesi dall’insediamento ha ricevuto, nell’autunno del 2020, un finanziamento di due milioni di euro da parte dell’assessorato regionale agli enti locali, guidato allora dall’agrigentino Marco Zambuto, per le spese di progettazione di opere pubbliche. Che fine hanno fatto quei soldi?
E poi, perché non lanciare un concorso internazionale di idee per il recupero del parco? Tanti architetti di fama internazionale sarebbero certamente interessati ad elaborare un progetto che veda la loro firma su un’opera importante situata nella Valle dei Templi: per loro costituirebbe un fiore all’occhiello del curriculum professionale. Quindi, non mancano risorse ed opportunità, quello che manca alla nostra classe dirigente sono le idee e la concretezza progettuale che siano figlie di una visione della città. Se non si sa immaginare l’Agrigento dei prossimi decenni, ma si schiaccia tutto sulla (mala)gestione del presente, non si può costruire alcun futuro. E non serve raccontare balle, come quella messa in giro dal sindaco nel febbraio del 2021 circa l’interessamento di due multinazionali, non meglio precisate, per l’affidamento del Parco. Comunque, una soluzione va trovata, anche in vista degli eventi che nel 2025 accompagneranno il titolo di capitale italiana della cultura.
Allora, perché non pensare ad una parziale agibilità del Parco che comprenda solo la zona del cinema all’aperto e del teatro? Il costo e i tempi di recupero sarebbero ridotti (si potrebbero anche coinvolgere operatori privati) e si doterebbe la città di due strutture di grande pregio. Si potrebbero spostare al teatro dell’Addolorata gli spettacoli che oggi si tengono nel teatro avventizio, ingombrante e brutto costruito nella Valle, a due passi dai templi.
Un teatro all’aperto che per dimensioni – oltre 2.000 posti, facilmente estensibili a 3.500/4.000 -ambientazione e bellezza sarebbe idoneo ad ospitare grandi eventi internazionali. Per la gestione del Parco, atteso che il comune non dispone delle figure professionali e dirigenziali idonee, la migliore soluzione sarebbe quella di un affido congiunto alla forestale, per quanto concerne la cura del bosco, e all’ente Parco Archeologico, per ciò che riguarda la conduzione delle strutture. Mi sembra la soluzione più logica considerando che l’area dell’Addolorata confina con la Valle dei Templi, si trova a due passi dalla necropoli Pezzino e al suo interno custodisce aree suscettibili di indagine archeologica. Ma per parlare del futuro del Parco è necessario anzitutto mettere con urgenza l’area in sicurezza dal rischio incendi. Oggi le sterpaglie, l’erba secca del sottobosco e i rifiuti che abbondano ovunque sono una miccia pericolosissima per la sopravvivenza del Parco. Il Comune non ignori il problema, sarebbe un’omissione gravissima.