Dopo la frana del ‘66, che mette a nudo la fragilità del colle di Girgenti, si sviluppa il dibattito sulla necessità di intervenire nel centro storico per recuperare e valorizzare il cuore della città. Il primo intervento importante arriva con la legge regionale n.70 del 1976 che così recita: “Tutela dei centri storici e norme speciali per il quartiere di Ortigia di Siracusa e per il centro storico di Agrigento”. Scopo della legge è quello di salvaguardare, conservare e recuperare, mediante interventi di risanamento conservativo gli immobili situati nel centro storico. L’importo stanziato per Agrigento è di 3 miliardi di lire. La legge verrà poi rifinanziata nel 1985 con una dote molto più ricca, pari a 25 miliardi di lire (circa 13 milioni di euro). Di questi fondi per il risanamento del centro storico, Agrigento non riuscirà a spendere un solo centesimo, per mancanza di capacità progettuale e inattività amministrativa prolungata. Siracusa, invece, avvierà un portentoso recupero di Ortigia, che è diventata una perla del mediterraneo. Con quella legge speciale comincia il rosario delle occasioni mancate dalla città.

U scaru vecchiu

L’ultima riguarda il recupero della zona di piazza Ravanusella, lo “scaro vecchio”. Per la precisione, il “Programma Integrato”, che al suo interno prevedeva un projet financing per la costruzione di 73 alloggi con l’intervento di imprenditori privati, aveva l’obiettivo di risanare la zona che da piazza Ravanusella arriva in via Atenea. Un progetto pregevole, per una zona oggi molto degradata (via Vallicaldi, via Boccerie, via Gallo, via Cannameli per citare alcune strade interessate), che prevedeva la salvaguardia del reticolo viario, delle volumetrie originarie, delle tipologie costruttive, dell’uso (per quanto possibile) dei materiali edilizi originali. Inoltre, per la prima volta da quanto il piano particolareggiato del centro storico ne ha previsto l’introduzione (sul modello della rocca Paolina di Perugia), era contemplata la realizzazione di un percorso di scale mobili, integrato nelle costruzioni, che avrebbe collegato il piano basso con la parte alta di via Atenea. Non mancava, poi, l’arredamento urbano per slarghi, piazzette e giardini. Insomma, una intelligente opera di rigenerazione urbana che avrebbe restituito al decoro e alla vivibilità una delle zone più deteriorate della città, che oggi si presenta semideserta, con case dirute, edifici pericolanti, macerie ammonticchiate dovunque, strade chiuse, con l’immancabile corredo di cumuli stanziali di immondizia e topi e scarafaggi a farla da padrone.   

Il progetto “Riqualificazione urbana piazza Ravanusella via Atenea”, gemello di quello che riguarda la zona di Terravecchia, viene ammesso a finanziamento da parte della regione siciliana nel lontano 2011. Si tratta di un “Programma Integrato” che prevede, accanto all’intervento pubblico, la presenza di investitori privati. L’importo complessivo del progetto è di 11.791.200 euro, di cui 2.215.000 euro a carico della regione, 9.230.200 euro a carico dei privati e solo 346.000 euro a carico del comune. In realtà, la quota prevista a carico dell’ente locale verrà azzerata, dal momento che il comune aveva raggiunto un accordo con gli imprenditori interessati per compensare la quota di sua competenza con gli oneri di urbanizzazione a carico dei privati. Quindi, il progetto era a costo zero per le casse comunali. Il bando del comune viene aggiudicato ad un raggruppamento di imprese guidate dallo studio tecnico Carlino di Favara e nel 2015 si arriva alla firma del protocollo d’intesa tra regione, comune e imprese private. L’ufficio tecnico del comune predispone la progettazione delle opere di urbanizzazione, il privato elabora i progetti esecutivi per la costruzione di 57 alloggi di edilizia privata e 16 alloggi a canone sostenibile, per un totale di 73 unità abitative. I progetti vengono approvati dall’assessorato regionale alle infrastrutture, ricevono il nullaosta della sovrintendenza e sono pronti per la realizzazione, manca solo l’acquisizione degli immobili interessati. I tecnici del comune, coadiuvati dall’allora assessore al centro storico Beniamino Biondi, svolgono un grande lavoro di ricerca e notifica degli atti ai proprietari delle attuali abitazioni e circa il 60% aderisce volontariamente alla cessione, qualcuno intenta una causa al comune, mentre alcuni non sono rintracciabili. Immaginate, ad esempio, i nipoti eredi a loro insaputa di qualche catoio diroccato, magari residenti all’estero, che non hanno alcuna voglia di sbrigare una pratica di cessione per ricavarne qualche centinaio di euro. In questi casi la legge prevede la possibilità dell’esproprio per pubblica utilità degli immobili non ceduti volontariamente. Il comune però non lo fa, il tempo trascorre invano e alla fine la regione è costretta a revocare il finanziamento.   


Le cose, comunque, non sono andate in modo così lineare: c’è un retroscena che va spiegato. Questo progetto ha visto la partecipazione appassionata di un gruppo di tecnici comunali e dello studio tecnico Carlino, che fianco a fianco hanno portato avanti una enorme mole di lavoro per arrivare ad avere una progettazione esecutiva di un piano complesso e delicato, dal momento che interveniva su un tessuto urbano deteriorato ma di enorme valore culturale e dovendo interloquire con diversi organismi tecnici e amministrativi. Da parte delle amministrazioni che si sono susseguite non c’è mai stata una vera sensibilità e un chiaro interesse politico a realizzare il progetto: mai un dibattito pubblico, una presentazione degli elaborati, un confronto con le associazioni culturali e, soprattutto, nessuna cura a seguire l’iter amministrativo. Con una sola eccezione, quella dell’assessore Beniamino Biondi. L’unico ad aver concretamente interloquito con gli uffici regionali, con i progettisti, con le imprese private, con l’ufficio tecnico del comune, financo con alcuni proprietari per convincerli alla cessione volontaria delle loro proprietà. È stato Biondi ad aver creato, con un suo atto di indirizzo, una vera e propria squadra all’interno dell’ufficio tecnico, una sorta di “Ufficio Ravanusella”, incaricata di seguire passo passo l’iter burocratico. Evidentemente, qui rileva lo spessore culturale: l’idea che quel progetto può cambiare le sorti del centro storico, innestando un processo virtuoso di recupero. Rimosso l’assessore Biondi, è finito l’interessamento degli amministratori al compimento del piano. Si arriva anche all’assurdo degli uffici regionali che telefonano insistentemente ai colleghi di Agrigento invitandoli, direi quasi invocandoli, a dare esecuzione al progetto per non perdere il finanziamento.  


Così si giunge al 17 marzo 2021, quando il dipartimento dell’assessorato regionale alle infrastrutture scrive al comune di Agrigento comunicando che “visto il protrarsi dello stato di inattività, dato il lungo tempo trascorso...”, si sarebbe avviata la procedura di revoca.   

Nonostante questa diffida formale, per ben due anni e mezzo nessuno al comune (non il sindaco, non l’assessore al ramo, né i dirigenti dell’ufficio tecnico) si premura di rispondere, spiegare, prendere tempo, sollecitare l’attività degli uffici comunali, per non perdere i quasi 12 milioni di investimenti. Di conseguenza, oggi arriva il decreto di revoca dei finanziamenti regionali e con esso il progetto Ravanusella, 12 anni di lavoro dell’ufficio tecnico comunale, una montagna di elaborati del raggruppamento di imprese private, nonché l’idea di recupero del centro storico vanno a finire nel cestino. Roba da restare a bocca aperta. Ma al comune di Agrigento, aldilà dell’imperizia palese, nessuno conosce il senso del dovere, oltreché il galateo istituzionale? È possibile lasciare inevasa una richiesta giustificata di un organo amministrativo superiore, specialmente se è in gioco il futuro di un pezzo importante della città? Ma questi amministratori -si fa per dire- da quale scuola politica vengono fuori? Si rimane allibiti. 

Purtroppo, a questo punto, c’è da aspettarsi a breve anche la revoca del “Programma Integrato” della zona di Terravecchia. 

P.S. Qualcuno vicino al sindaco ha voluto giustificare il fallimento del progetto con la presunta ritirata del partner privato. La notizia non ha alcun fondamento. Inoltre, non sarebbe stata una scusante, vista la possibilità di sostituire eventualmente la parte privata. Infine, da rimarcare che lo stesso studio Carlino sta realizzando, senza intoppi, a Favara un progetto di rigenerazione urbana simile a quello di Ravanusella. A Favara si può, ad Agrigento no.