di Tano Siracusa

Porto Empedocle è la cittadina dove Pirandello e Camilleri hanno vissuto parte della loro infanzia e dove, da Roma, tornavano spesso. Di entrambi è nota la passione per il cinema. La stessa dell’avvocato Alfonso Gaglio, amico di Camilleri, che assieme al giovanissimo Pepi Burgio è stato il promotore di una lunga stagione di eccellenza nell’offerta di buon cinema a Porto Empedocle già a partire dagli anni ’70, quando il Centro culturale e sociale Torre Carlo V, di cui Gaglio era presidente, diede inizio a varie rassegne cinematografiche, prima alla Torre Carlo V, poi al cinema Mezzano.
L’attività del Centro si avvaleva della collaborazione del titolare della sala, Gero Mezzano, appassionato cinefilo, che visionava le prime dei film nei festival, consigliava, rendeva disponibili opere spesso emarginate dalla grande distribuzione. In seguito, fino agli anni ’90, il cinema Mezzano ha ospitato nelle sue due sale i cineforum organizzati dal circolo Belushi, un appuntamento settiminale, un luogo di incontri, di socialità. Poi, esauritasi la lunga stagione dei cineforum, è iniziato il lento declino, la chiusura della prima sala, e infine, nel ’17 anche della sala grande. Fino all’ultimo ha offerto a un pubblico attento e affezionato la possibilità di vedere del buon cinema, spesso di ricerca, lontano dai clamori mediatici e dagli incassi iperbolici.
La chiusura del cinema Mezzano ha segnato una lunga stagione di silenzio che adesso si vuole cercare di interrompere provando a riprendere il filo di questa piccola, nobile storia di resistenza culturale.


La disponibilità della Pro Loco ad ospitare una rassegna di film nella sua sala dotata di proiettore e schermo, ha reso possibile la programmazione di un primo ciclo di otto incontri.
Verranno proposti quattro film e quattro documentari.
La scarsissima diffusione nelle sale dei documentari – particolarità molto italiana – si accompagna al crescente interesse per i suoi linguaggi che sempre più spesso filtrano nei film di finzione. La scelta dei documentari propone quattro diverse modalità di articolare il linguaggio di un genere suscettibile di altre, molteplici variazioni.

Il sale della terra di Wim Wenders, sul fotografo Sebastiao Salgado, Notturno di Gianfranco Rosi, girato prima della pandemia in tre anni fra Iraq, Siria e Libano, Koyaanisqatsi, il celebre eppure poco visto capolavoro di Godfrey Reggio, del 1982, con le musiche di Philip Glass, e una serata dedicata a Vittorio De Seta di cui si celebra il centenario della nascita, con tre dei suoi brevi documentari siciliani girati negli anni ’50.

I quattro film ‘di finzione’ sono legati invece dal comune riferimento alle arti visive. Il tema è centrale se si pensa che il cinema è innanzitutto flusso di immagini che amalgama competenze e linguaggi diversi, la scrittura, la musica, la prestazione recitativa, il montaggio. Il riferimento alla pittura rimane, proprio come lo è stato per la fotografia, comunque ineludibile. Si sono individuati quattro film molto diversi per l’ approccio al tema e per linguaggio.


L’ Arca russa di Sokurov, un unico, iperbolico piano sequenza girato all’Ermitage di Pietroburgo, visionario viaggio fra i secoli e le sale del museo, Loving Vincent di Hugh Welchman e Dorota Kobiela, film di animazione sulla vita di Van Gogh cui hanno collaborato centinaia di artisti in tutto il mondo, Il mio capolavoro, dell’argentino Gastón Duprat, una commedia beffarda sul grande mercato dell’arte contemporanea e Basquiat di Julian Schnabel, del 1996, autore nel 2018 di un altro, immaginifico film su van Gogh.

Ciascuna proiezione verrà preceduta da una breve presentazione. E’ possibile che alcuni di questi film siano stati visti, difficilmente però in sala. Ed è proprio in sala che si vuole invitare gli spettatori a tornare, a vedere le opere che nelle sale non arrivano, non almeno dalle nostre parti.
Si rischia ormai ovunque di smarrire il piacere del cinema, che come a teatro apre e chiude un sipario offrendo una temporanea sospensione non solo dell’incredulità, ma del tempo reale, e che come il teatro convoca gli spettatori.

In sala si fa buio, si spengono i cellulari, il mondo di fuori scompare sostituito da un mondo e un tempo illusori, che abitiamo come se fosse il nostro sapendo tuttavia che non lo è, un po’ come nei sogni. Un di-vertimento, una de-viazione, una provvisoria assenza da se stessi, un tempo decentrato, liberato.
Questa piccola magia non può avvenire a casa propria, con i cellulari che squillano, il gatto che si struscia, le interruzioni pubblicitarie, la luce accesa nell’altra stanza accanto dove parlano. A casa l’illusione cinematografica è depotenziata dalle continue interferenze della realtà, disgregata dalla sua incombenza.
Quella magia avviene soltanto in sala, al buio, accanto ad altri spettatori partecipi della medesima illusione, con in quali poi si parlerà.
Perchè il ritorno dal viaggio, dall’evasione nella finzione, spesso fa trovare parole nuove, suggerisce altri sguardi, può cambiare opinioni, modificare il senso comune. Può far aprire gli occhi su ciò che non si vuole o non si riesce a vedere, e perciò a volte a sapere.

A Porto Empedocle i due scrittori che amavano il cinema apprezzerebbero i loro concittadini se rinnovassero quella stagione iniziata negli anni ’70 grazie all’avvocato Gaglio, Pepi Burgio e altri giovani empedoclini, proseguita con i cineforum del circolo Belushi e poi con l’appassionata dedizione di Gero Mezzano. Se ritrovassero il loro cinema perduto.

Di Bac Bac