di Tano Siracusa
Nel suo bel libro San Calogero e la sua città Elio Di Bella da notizia di un’ ordinanza regia (vado a memoria) che nella seconda metà del ‘700 minacciava pene severissime a quanti avessero fatto irruzione in chiesa durante la celebrazione della messa per prelevare la statua di san Calogero e dare inizio alla processione.
Questo era il clima: un’incursione rapinosa, e i protagonisti del sacro prelievo e della processione che avrebbero avviato erano in maggioranza contadini. Molti venivano da Rabato, il quartiere arabo fuori le mura medievali.
Cento anni dopo l’agrigentino Politi descriveva quell’annuale scorribanda del popolo in festa con il distacco, lo sconcerto e la preoccupazione del ceto borghese di Girgenti, come più tardi farà Pirandello.
La processione ricomincia ogni anno, si ripete uguale e diversa, osservata ancora con sospetto da dietro le persiane, acclamata con le finestre spalancate nelle vie del centro storico da dove una volta piovevano i pani e le lattine di birra. Era il giorno della festa, dell’abbondanza, la pioggia di pani incontrava le braccia protese dei fedeli, sembrava suggerirne l’ascesa fino al volto africano del santo, ai suoi occhi sgranati. Il rullare tellurico dei tamburi, la fatica dei portatori, le donne a piedi nudi per le ‘promesse’, l’attesa del miracolo, del prodigio, della rottura dell’ordine: i custodi del tempio, dell’ortodossia, subivano e cercavano di normalizzare, di sovrapporre, di rimuovere. In parte nel corso degli anni ci sono riusciti. Ma solo in parte.
Lungo il suo viaggio attraverso la città antica, la processione ha infatti subito perdite, sabotaggi, sottrazioni, mutilazioni. Il lancio del pane, ma non solo.
La chiesa cattolica è grande, universale. Nei paesi colonizzati ha lasciato sopravvivere pratiche di culto, manifestazioni di religiosità precristiane che hanno favorito l’evangelizzazione assorbendo a volte la varietà delle precedenti credenze religiose. Il culto del santo nero è stato vissuto con grande diffidenza dalla chesa cattolica, come per una sua estrema lateralità ereticale, non cristiana. Eppure l’ibridazione e la stratificazione di esperienze religiose diverse confluisce nel culto di san Calogeroe si afferma nella tradizione cristiana. La riassume e la ripropone, secondo Giandomenico Vivacqua che utilizza il pradigma del capro espiatorio teorizzato da André Girard: il lancio del pane come trasfigurazione del linciaggio, della lapidazione della vittima innocente sacrificata e salvifica, oltraggiata e festeggiata dai suoi carnefici, figurazione esemplare del sacrificio cristiano.
Con il divieto del lancio del pane la processione del santo nero non ha perso un dettaglio, un tratto della sua gestualità, nè tanto meno ha cancellato uno ‘spreco’, ma ha smarrito un elemento costitutivo della sua codificazione materiale e simbolica. Ha sfumato la figurazione stessa della relazione con l’alto, con il cielo, con il santo e il suo pane che veniva raccolto e mangiato. Una perdita. Si è anche tentato di cancellare del tutto la fisicità della relazione verticale cercando di impedire ai fedeli di arrampicarsi sulla statua, di abbracciarla e baciarla. Senza molto successo, almeno finora. Una comprensibile incomprensione: il santo patrono di Agrigento era un austero nobile francese, san Gerlando. La chiesa cattolica e normanna ha ereditato il culto preesistente di un santo bizantino sbarcato in Sicilia alla fine del V secolo, nero come tanti che giungono dal mare, una venerazione che come un fiume carsico aveva attraversato la dominazione araba e avrebbe raggiunto i nostri giorni.
E come un un fiume che non si riesce a interrare, la processione ritorna ogni anno sotto il sole inclemente della prima domenica di luglio. Quest’anno all’inizio fra surreali bolle di silenzio, senza lancio dei pani, senza abbracci scomposti. Poi di nuovo il santo è tornato a galleggiare sulla folla in tumulto nel clamore della festa. Qualcuno ha comprato e lanciato i pani dal balcone di casa.
Non ci sono più da molti anni i contadini. Ci sono i figli, i nipoti dei vecchi portatori, tanti ragazzi, adolescenti, e quando la processione al tramonto si avvia verso Rabato e Santa Croce, la folla sbanda, esulta come ha sempre fatto e il santo nel controluce sembra volare. La processione scorre come un fiume, si ingorga, sosta e riparte, come tempo che passa e che ogni anno ritorna.
Nel video un montaggio del 2012, con riprese degli anni precedenti.