di Adele Mondrini
Ad ascoltare Leon, la sua voce impastata e intermittente, da ubriaco, a sentire lui erano tutti andati via, fuggiti verso est, dove ci sono le miniere diceva, quelle dove vanno a dormire i cammelli.
Il vento gli strappava le parole e le faceva volare come bolle di sapone davanti ai nostri passi.
Tutti questi pesci morti, diceva Leon, li ha portati l’onda, uno sbadiglio dell’oceano, un suo colpo di tosse, l’onda alta tre piani ha trascinato i pesci e li ha rovesciati sulla strada, sui marciapiedi, sui tetti delle auto posteggiate. Allora sono tutti fuggiti verso le miniere abitate dai cammelli, diceva.
Era il delirio di un ubriaco, o forse Leon aveva preso qualche pasticca, un acido. Non ci sono cammelli qui. Dobbiamo incontrare il Capo dei nemici, siamo qui per questo, gli ho detto.
Lui ci spiegherà ogni cosa. Dove andare. Davanti alla segheria un piccolo mulo, forse abbandonato, era sembrato all’inizio un grosso cane, una di quelle mostruose creature da laboratorio che fabbricano i nostri nemici. È lui il capo? ha domandato Leon incespicando sul selciato sconnesso.
No, quello è solo un mulo, ho risposto.
Potrebbe essere lui, il Capo: pare che abbiano selezionato dei muli con le teste di uomini, ha detto Leon. Parlava guardandosi attorno, cercando, perché quello davanti la segheria era soltanto un piccolo mulo.
Stai delirando, ho detto.
Il cielo si era poi incurvato e abbassato all’altezza dei primi piani, disteso come un logoro tappeto ingiallito.
Non sono ubriaco, non ho preso niente, da tre giorni bevo solo acqua e non mangio, si è lamentato Leon.
Quando il Capo ci ha ricevuti, seduto dietro la scrivania, ha indicato la finestra che si apriva sulla città. Guardate, ha detto, guardate bene: tre cammelli avanzavano nella luce che sembrava improvvisamente invecchiata, mentre i pesci cadevano lentamente dall’alto.
Qualcuno, ha detto il Capo ammiccando, li lascia cadere giù dal tappeto.
Immagine: Magia di pesci di Paul Klee